L’Osservatore Romano, 24 novembre 1961
Come ieri è stato detto, il signor Moris Ergas, produttore del film «Non uccidere», ci ha inviato una lunga lettera, in data 20 novembre, onde esprimere il suo «doloroso stupore» per l’articolo apparso su L’Osservatore Romano il 10 novembre scorso. Egli si «vede costretto» a chiedere a norma delle leggi vigenti in Italia sulla stampa, la pubblicazione di questa sua «precisazione». Ritiene, infatti, che l’articolo in parola – in realtà un breve chiarimento – metta in dubbio la sua buona fede e la lealtà del suo comportamento.
Il produttore, in una conferenza stampa tenuta a Venezia, aveva detto che la sceneggiatura della pellicola e, successivamente, al pellicola stessa, erano state sottoposte ad una commissione di censura – che non esiste – del Centro Cattolico Cinematografico e che aveva incontrato «il pieno favore delle autorità competenti che lo avevano approvato all’unanimità dopo alcuni impercettibili ritocchi, definendolo un film nobile e coraggioso «che non intaccava problemi di fondo della morale religiosa…».
Il 10 novembre, dunque, precisammo: 1) È vero che la sceneggiatura del film fu sottoposta all’esame del C.C.C.; ma in quella circostanza furono formulate le più esplicite riserve perché le modifiche suggerite in precedenza erano state del tutto ignorate. Si può aggiungere, anzi, che il significato anticattolico della pellicola era stato accentuato.
Perciò non v’era certo motivo di congratularsi col regista e col produttore del film. 3) Precisammo infine che a Venezia, subito dopo la proiezione, il C.C.C. espresse ufficiosamente le più nette riserve, mentre l’Office Catholique International du Cinéma, all’unanimità, classificò la pellicola «esclusa».
Ora la lettera del signor Moris Ergas. Da galantuomini quali ci lusinghiamo di essere, noi pubblicheremmo la missiva integralmente senza bisogno di richiami alla legge sulla stampa vigente in Italia. Ce lo vietano l’eccessiva lunghezza e i contratti di pubblicità che impegnano il nostro giornale. Riassumiamo comunque la lettera nel modo più scrupoloso.
Il produttore di «Non uccidere» dice:
1) Il progetto del film fu sottoposto al padre Arpa S.J., con lettera 24 settembre 1959, e il religioso assicurò al sig. Moris Ergas che la pellicola non «intaccava problemi di fondo», né «disturbava orientamenti dottrinali» perché si concludeva con «la condanna dell’esasperazione mistica e con l’assoluzione di un assassino che non voleva uccidere, ma non ha saputo non uccidere».
Seguono alcune considerazioni sull’autorevolezza del P. Arpa a causa dei suoi contatti con alte personalità.
2) Il signor Moris Ergas, non pago di questo giudizio, si rivolse a Mons. Albino Galletto, consulente – in quel tempo – del C.C.C.: questi, esaminata «attentamente la sceneggiatura, ne espresse un giudizio sostanzialmente positivo» limitandosi ad osservazioni di «dettaglio»; chiese infatti: a) che si facesse notare l’opposizione della Chiesa alla guerra; b) che fosse eliminato ogni riferimento all’associazione «Pax Christi».
La lettera, inoltre, asserisce che tra Mons. Galletto e il regista Autant-Lara si «instaurò un rapporto di collaborazione».
3) Il film ultimato venne proiettato in visione privata presenti Don Francesco Angelicchio, subentrato nel frattempo a Mons. Galletto, nella consulenza ecclesiastica del C.C.C., il sig. Autant-Lara, e poche altre persone. «Il giudizio manifestato al termine della proiezione – dice il produttore – fu esattamente lo stesso di quello già espresso da Mons. Galletto e cioè: riaffermazione per mezzo di una battuta di dialogo della radicale opposizione della Chiesa alla guerra ed eliminazione di una scena in cui alcuni sacerdoti dimostrano soddisfazione per l’assoluzione del loro confratello…». Il sig. Moris Ergas si dichiarò dispostissimo ad effettuare i tagli e di comune accordo fu designata la persona che li avrebbe apportati: lo scrittore Diego Fabbri.
L’ultima parte della lettera esprime l’«amarezza» del produttore non già per le critiche poiché egli non invoca «uniformità di pareri» e ci concede di avere opinioni diverse dalle sue; ma per essere stato accusato di «raccontare frottole». Egli, pertanto, conferma le sue dichiarazioni di Venezia a «conforto», anche, di «tutti quegli autorevoli uomini politici che hanno creduto nel suo film» e sarebbero stati confermati «nel loro spontaneo sentimento dall’augurio consapevole dell’autorità ecclesiastica». «Che se poi questi avessero sbagliato – in cauda venenum – la colpa ricadrebbe su coloro che ci hanno fatto sbagliare e che oggi vorrebbero rimanere nell’ombra…».
Fin qui il signor Moris Ergas. Ed ecco la nostra risposta.
Ai punti 1 e 2 c’è da obiettare soltanto che gli autorevoli pareri citati dal produttore di «Non uccidere» riguardavano non la pellicola realizzata, ma l’intenzione di realizzarla e la prima sceneggiatura. Confermiamo comunque che su questa sceneggiatura furono fatte tutte le riserve del caso proprio a Diego Fabbri che le condivise appieno e che furono poi ripetute al regista Autant-Lara, il quale disse che le avrebbe tenute nel massimo conto. Ciò avvenne nell’aprile del 1960. Verso la fine di maggio il regista, dalla Jugoslavia ove realizzava il film, scrisse a Mons. Galletto; dalla risposta – in data 28 maggio – le riserve espresse in sede preliminare risultano confermate: «Je suis sûr que vous avez pu aporter sans difficultés, dans le scénario, les quelques changements dont nous avons parlé. Quant au changement du titre, personnellement je n’y vois pas d’inconvénient ; ce qui me préoccupe davantage – je me permets de vous le dire en toute sincérité – c’est la façon même di présenter, dans la juste perspective humaine et morale, le fait de l’objection de conscience… Conformement à une promesse, je joins à cette lettre un texte du Pape Pie XII qui – me semble-t-il – pourrait vous intéresser…».
Ciò prova soltanto che, anche durante la lavorazione il consulente ecclesiastico del C.C.C., vista e considerata la determinazione di condurre a termine in ogni caso l’opera cinematografica, sperava di poter evitare deformazioni che non solo rimasero ma, anzi, furono accentuate. Il richiamo all’insegnamento di Pio XII, ad esempio, fu introdotto nella sceneggiatura per bocca del «prete operaio» Robert. Ma l’obiettore Cordier replica: «La Chiesa avrebbe dovuto dire ciò al mondo nel ’14 e nel ‘39». Il Robert non ribatte ricordando che, nel ’14 e nel ’39, la Chiesa disse nobilmente quel che doveva dire. Praticamente dà ragione all’imputato o si limita ad affermare: «essa lo dice oggi». (E Cordier risponde: «Essa dice questa e dice tante altre cose. Ci si trova tutto quello che si vuole, nella Chiesa»). Verrebbe il sospetto che i pareri del C.C.C. siano stati richiesti unicamente con l’intenzione di contraddirli polemicamente.
Il terzo punto riguarda il film compiuto. Abbiamo già detto che rispetto alla sceneggiatura originale, quella definitiva è peggiorata (il tedesco Adler prima era un seminarista, nel film è prete; prima era l’esecutore di una sentenza, nel film è il sicario che uccide un innocente).
Nell’agosto del 1960, quando la pellicola fu proiettata nella saletta del C.C.C., in visione privatissima, Mons. Galletto fece osservare che nessuna delle osservazioni preliminari era stata presa in considerazione, nonostante le ampie assicurazioni fornite; ed affermò, presenti alcuni testimoni, che, senza radicali modifiche, il film era da ritenersi moralmente negativo e pericoloso. Furono fatte, precisamente dal sig. Ergas, nuove promesse, ma non vennero mantenute.
Questo è tutto, e le considerazioni che l’episodio imporrebbe preferiamo lasciarle al lettore.
E con questo chiudiamo.
F.A. [Federico Alessandrini]
Un telegramma di La Pira
Ci è giunto da Giorgio La Pira il seguente telegramma:
«Grazie fraterne. Nella Casa del Signore siamo una cosa sola e un’anima sola e una sola fede e dottrina. Allorché come in questi eccezionali tempi la rapida avanzata degli eventi storici e dei grandi problemi che vi si coordinano provoca giudizi non concordi, allora ci fa luce il grande principio di Sant’Agostino che dice: In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. In nome di questa divina carità diamoci dunque il bacio fraterno della unità e della pace. Fraternamente. – La Pira».
Siamo grati a La Pira di aver inteso nel giusto spirito la nostra fraterna polemica.
visualizza in PDF: L’Osservatore Romano 24-11-1961