Concretezza, XI (16 maggio 1965), n. 10
Non ho mai avuto la vocazione dell’inquisitore o dell’accusatore; anzi, mi onoro di appartenere a quella categoria di romantici (le giovani generazioni la definiscono meno rispettosamente) che, quando vedono un uomo in mezzo ai carabinieri, sono portati a compatirlo con un solidale «poveretto».
Figuratevi, quindi, se mi ha fatto piacere di veder, l’anno scorso, chiamati dinanzi ai giudici un sacerdote ed un giornalista per rispondere di apologia di reato e specificamente di sostanziale incitamento alla disobbedienza in materia di obblighi militari del cittadino. Sono dure necessità che lasciano sempre un fondo di amarezza nel cuore di tutti.
Mi domando se in questa seconda metà del ventesimo secolo sia ancora possibile discutere un problema con serenità e senza confondere le idee e turbarle con pregiudizi, insolenze e debordamenti verso campi estranei. A guardare a quel che sta accadendo per il delicato tema della cosiddetta obiezione di coscienza, dovrei rispondere negativamente. Perfino tra appartenenti al clero (sia pur quello caratterizzato da vivacità fiorentina) corrono parole grosse; e quando uno spirito fine e sensato come il cardinale arcivescovo Florit è intervenuto ufficialmente con una «Lettera» a far luce in proposito, quasi nessun giornale ha riportato integralmente il documento, preferendo invece stralciare questo o quel passo per portare subdolamente acqua al proprio mulino.
Non pretendo – ora ed in questa sede extraministeriaIe – di discutere a fondo e tanto meno di esaurire la questione. Vorrei solo sdrammatizzare il dibattito e consentire che esso sia ripreso in forme civili; così come la nostra rivista aveva cominciato a fare qualche anno fa.
Per convinzioni filosofiche e ragioni di obbedienza religiosa, c’è chi nega a se stesso il diritto-dovere di vestire la divisa militare per partecipare alla difesa armata della nazione. Si tratta di piccoli nuclei di persone, ma sarebbe assurdo negare la legittimità di posizione di un problema sol perché si presenta in minuscoli termini quantitativi, sia in Italia che all’estero.
Occorre, d’altra parte, che la minoranza non si impanchi ad accusatrice della generalità dei cittadini che ha compiuto o compie il proprio dovere, biasimandola come sanguinaria, guerrafondaia, insensibile etc. Si deve però osservare che, in genere, i chiassosi patrocinatori degli obiettori di coscienza ne fanno palesemente una pretestuosa ragione di polemica politica e sociale. Tanto che ad un certo punto è sembrato che dovesse divenire il terzo banco di prova del ventennio democratico, dopo i patti agrari e la questione delle regioni …
Alcuni giovani che scontano in prigione (ve ne sono cinque o sei) le conseguenze dell’atteggiamento tuttora non consentito dalle leggi, hanno più di una volta manifestato il proprio disappunto per la speculazione politica ed il clamore propagandistico imbastito attorno ai loro casi.
L’obiezione di coscienza, spesso da tempi lontani, è riconosciuta e regolamentata in molti Paesi, naturalmente dove il servizio militare non è facoltativo.
In Inghilterra, abolita nel 1958 la coscrizione obbligatoria, è decaduta la legislazione sull’obiezione di coscienza, che prevedeva la registrazione presso il Tribunale con facoltà a questo di respingere l’istanza o di accettarla in tutto (esonero completo) o in parte (assegnazione ad un servizio non di guerra). Tuttavia, anche in regime volontaristico, il giovane ci può «ripensare» nei primi tre mesi dall’arruolamento e dovrà solo pagare una penale di venti sterline.
Un gruppo di Stati, come la Finlandia, la Svezia, la Danimarca, la Germania federale, la Norvegia, l’Austria, l’OIanda, il Belgio, gli Stati Uniti d’America, il Canada (per il solo tempo di guerra, non esistendo per il resto la coscrizione) destina gli obiettori ad un servizio sanitario o civile, fissando però un periodo più lungo rispetto a quello del servizio militare: da cinque mesi di proroga ad un anno e più.
Altri Stati, come la Svizzera, non prevedono alcun servizio sostitutivo, dato il numero irrilevante di casi fino ad ora verificatisi.
Tutti i Paesi comunisti – fatta eccezione di una recentissima parziale accettazione nella Germania dell’est, forse per motivo di obbligato confronto con quella di Bonn – non riconoscono l’obiezione di coscienza. Quando ne domandammo notizie ai russi, l’ufficio Relazioni militari con l’estero ci rispose drasticamente: «I casi di obiezione di coscienza non sono da noi contemplati perché inesistenti».
E, del resto, non si sa perché solo questa discussa libertà dovrebbe aversi in Nazioni che non consentono alcuna delle libertà altrove indiscusse. Va però detto che anche molte altre Nazioni, differentemente strutturate, non hanno norme che regolino il detto istituto.
Un certo chiasso lo ha creato la Francia, introducendo la legge sulle obiezioni di coscienza due anni or sono e facendola approvare dopo un’aspra opposizione parlamentare nella quale non militarista è apparso proprio il generale De Gaulle (i pretesti per le battaglie parlamentari, offensive e difensive, non sono solo una specialità italiana … ). Certo, all’arco dei propagandisti mondiali dell’obiezione la freccia gollista è risultata preziosa. Anche se non tutto ciò che il Generale dice e propone in altre materie è universalmente considerato giusto.
Curiosa appendice nella legge francese: è con sentita l’obiezione, ma è punita come reato la propaganda per l’obiezione. Un po’ come da noi accade per il tabacco: è vietato fare per esso pubblicità, ma lo Stato lo produce e lo vende apponendovi una non indifferente imposizione fiscale.
Per valutare bene il fenomeno in Italia occorrerà ricordare tre importanti voti dell’Assemblea Costituente. Con il primo si è introdotta nella Costituzione l‘obbligatorietà del servizio militare, definito dovere sacro del cittadino. Con il secondo – d’altro canto implicito – si respinse un emendamento tendente ad avere solo il servizio militare volontario. Il terzo voto respinse a larghissima maggioranza l’emendamento del deputato socialista Caporali che diceva: «Sono esenti dal portare le armi coloro i quali vi obiettino ragioni filosofiche e religiose di coscienza».
Quest’ultimo ricordo è fondamentale, sia perché offre il fondato dubbio sulla possibilità di introdurre l’obiezione di coscienza senza una norma costituzionale (per derogare all’anzidetta obbligatorietà generale), sia perché mette tutti coloro che non accettano l’obiezione di coscienza – o almeno non si entusiasmano per essa – al riparo del conforto di un voto della massima assemblea democratica della Repubblica Italiana.
Tuttavia, proprio per un riguardo verso i pochi giovani che stanno pagando di persona per comprovati motivi ideali, il ministero della Difesa preparò silenziosamente una bozza di legge imperniata sui seguenti punti:
- I) Formazione di una commissione di magistrati, ufficiali, docenti e cittadini di fama filantropica, con il compito di dare un parere al ministro sulle domande ricevute.
2) Assegnazione dell‘obiettore riconosciuto ad un servizio civile statale sostitutivo , di analogo impegno e gravosità, per una durata doppia di quella del servizio militare non prestato.
3) Il trattamento economico è pari a quello del militare di leva.
4) L’obiettore non potrà ottenere la licenza di porto d’armi né la licenza di caccia.
5) In caso di guerra viene assegnato a servizi militari non armati di particolare pericolosità o alla ricerca e assistenza di feriti sul campo di battaglia.
Tale progetto non ha avuto il parere favorevole del Consiglio superiore delle Forze Armate (formato di militari e di giuristi) dopo due vivaci ed appassionate sedute, nelle quali si sostenne che il principio stesso potrebbe invocarsi dal cittadino per altre imposizioni e prestazioni – tipo quelle tributarie – provocando un vero disfacimento del tessuto sociale. Di fatto però l’argomento di maggior preoccupazione consiste nel rilievo che in una ipotesi di emergenza una forza politica potrebbe bloccare la difesa militare della Nazione, facendo presentare qualche diecina di migliaia di istanze di riconoscimento del titolo di obiettore ed inceppando così tutto il meccanismo di mobilitazione.
Questo è il punto più arduo, difficile, foriero di preoccupanti responsabilità.
E sorvoliamo con convinzione sull’altro della facile creazione di un’industria di obiettori, in quanto le condizioni delineate come alternative al servizio militare ci sembrano abbastanza pesanti per adottarle a titolo di gherminella.
Da ultimo sono sopravvenuti due fatti, che vanno meditati. C’è una proposta di destinare gli obiettori ai servizi di assistenza tecnica ai Paesi sottosviluppati e c’è la dichiarazione della Commissione per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa che vorrebbe contestare anche il diritto dello Stato di richiedere agli obiettori la prestazione sostitutiva.
Come si vede il discorso si allarga ed è necessaria tanta prudenza e molta onestà intellettuale.
Dobbiamo però aggiungere fin da ora qualcosa sull’aspetto religioso della questione.
II Cristianesimo ha una tradizione ininterrotta di soldati che arrivano alle vette della santità e che, anche professionalmente, sono additati dai Padri della Chiesa come modello civico verso tutti. È quindi arbitrario ed inopportuno chiamare in causa la religione cattolica, togliendo il tema dal suo alveo di terrena opinabilità.
Accanto a testi di dottrina e ad esempi della storia della Chiesa, vorremmo ricordare – alcune anche recenti – espressioni assai chiare del Papa attuale, facendo altresì menzione del fatto che Giovanni XXIII – uomo quant’altri mai amante della pace – andò sempre fiero della sua esperienza militare e volle che la bandiera del suo vecchio reggimento varcasse la porta di San Pietro per rendergli l’estremo onore durante il solenne funerale nella Basilica vaticana. Ma in questi giorni come non far cenno alla splendida figura del «padre» Giulio Bevilacqua, ufficiale degli alpini e poi cappellano di marina tre volte decorato al valor militare e ricco di esplicite testimonianze a favore della nobiltà e generosità del servizio delle armi?
Quei pochi sacerdoti, pensosi solo della posizione degli obiettori, non sciupino per un’interpretazione dilatata della loro iniziativa il grande e benefico prestigio ed interesse che la religione conserva nelle Forze Armate d’Italia, in una tradizione che nulla ha di piccolo, di contingente e di politico.
Riflettano del resto – li preghiamo con umiltà – alla stranezza tattica dell’applauso comunista , che certo non muove dal desiderio di difendere una libertà che, come abbiamo detto, i loro regimi anche formalmente ignorano.
Forse ci acquisteremo critiche dai più accesi tra i fautori e tra gli oppositori dell’obiezione di coscienza. Ma a noi basterà esser compresi da chi vuoI mantenere uno schietto spirito d’amor di patria ed anche da quei giovani sinceri «obiettori» la cui detenzione carceraria sinceramente pesa e dispiace.
Giulio Andreotti
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