“Sì” della Corte agli obiettori

Avvenire, sabato 29 giugno 1985

 

Le Caritas dell’Emilia Romagna hanno denunciato in una conferenza stampa martedì scorso a Bologna le pesanti difficoltà create dal ministro alla Difesa ai giovani che presentano domanda di prestare un servizio civile in sostituzione di quello militare. Le reiterate proteste che da anni si elevano da varie parti non hanno avuto affetto. Ma ora la Corte Costituzionale si è schierata dalla parte degli obiettori.

 

Come è noto, il ministro continua a disattendere i propri obblighi (dovrebbe rispondere entro sei mesi dalla presentazione della domanda) costringendo gli obiettori ad aspettare mediamente 12 mesi (ma in certi casi passa anche un anno e mezzo) per sapere se la loro richiesta è stata accettata; dopo di che trascorrono altri mesi prima che arrivi la precettazione a svolgere il servizio civile.

Accade così, nel nostro Paese, che il cittadino obiettore di coscienza venga doppiamente penalizzato: anzitutto perché gli è imposto di servire lo Stato per venti mesi anziché dodici, in secondo luogo perché, a causa dei ritardi, questi venti mesi diventano normalmente – tra attesa e servizio – trentadue. Ciò significa che l’obiettore è costretto a interrompere per quasi tre anni studi. lavoro e programmi di vita.

Come si spiega che un trattamento tanto ingiusto possa essere abitualmente e impunemente adottato da un organo dello Stato? E come si spiega che le discriminazioni subite dagli obiettori abbiano cosi scarsa eco nella pubblica opinione?

Nella conferenza stampa di martedì scorso si è rilevato, dietro a questi comportamenti, un atteggiamento di aprioristica diffidenza, per non dire ostilità, nei confronti dell’obiezione di coscienza, quasi che il servizio civile sostitutivo di quello militare comporti un venir meno ai doveri verso lo Stato e che pertanto debba essere scoraggiato o addirittura penalizzato. Un atteggiamento abbastanza diffuso nell’opinione pubblica e implicitamente incoraggiato dai modi di agire degli organi dello Stato stesso.

Un forte e autorevole contributo al chiarimento è venuto da una sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 24 maggio scorso. La Suprema Corte, rispondendo a questioni di legittimità sollevate dal Tar del Piemonte circa la legge 15.XII.1972, n. 772 (la legge che riconosce l’obiezione e istituisce il servizio civile) ha posto fine a molti sospetti e a interpretazioni riduttive.

Anzitutto la Corte ha proclamato che la legge 772, considerata nel suo insieme, è legittima e conforme alla Costituzione. Anzi, ha aggiunto che se questa legge venisse eliminata, nel nostro Paese si registrerebbe “un arretramento di posizioni”. E ha citato in proposito una recente dichiarazione del Parlamento europeo (7 febbraio 1983) in cui si afferma che “la salvaguardia della libertà di coscienza implica il diritto di rifiutarsi di compiere il servizio militare”.

Ma come si concilia il diritto di dire “no” al servizio militare con il dettato dell’articolo 52 della Costituzione che sancisce: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” e “Il servizio militare è obbligatorio”?

La Corte costituzionale interviene nella discussa questione distinguendo il dovere della difesa, che “è inderogabile, nel senso che nessuna legge potrebbe farlo venir meno”, dal servizio militare che invece è obbligatorio “nei modi e nei limiti stabiliti della legge”, purché “non siano violati altri precetti costituzionali”.

Premesso questo, la sentenza fa due importanti affermazioni: 1) il servizio militare armato “non esaurisce il dovere di difendere la Patria”; 2) il servizio civile sostitutivo di quello militare non costituisce “una deroga al dovere di difesa della Patria”. Questo dovere infatti – cosi sostiene la Corte – può essere adempiuto anche “attraverso le prestazioni di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato”. “A determinate condizioni” – ribadisce la sentenza – le prestazioni del servizio civile sono “riconducibili anch’esse all’idea di difesa della Patria”.

Un altro punto scottante è – come si è detto sopra – quello riguardante i ritardi del ministro dalla Difesa. La legge 772, all’articolo 3, comma secondo, afferma che il ministro ha tempo sei mesi per “decidere” sulla domanda con cui un giovane si dichiara obiettore e chiede di fare il servizio civile.

Il Tar del Piemonte riteneva che questo comma della legge non imponesse un dovere perentorio e che perciò legittimasse i ritardi, lasciando l’obiettore “alla mercè” del ministero, “in attesa di una decisione imprevedibile”, “in un periodo decisivo per la vita lavorativa del giovane, nella pratica impossibilità di programmare in concreto le proprie scelte”. Il che sarebbe incostituzionale.

La Corte risponde che i ritardi non sono affatto legittimi perché il termine di sei mesi fissati dalla legge è perentorio, e perciò vincolante. Lo conferma il fatto che qualora il ministro non lo rispettasse, l’obiettore ha il diritto di ricorrere contro l’inadempienza.

Da questa precisazione la Corte deduce la conseguenza che “si debba attendere una più puntuale applicazione dell’articolo 3, secondo comma (obbligo di rispondere entro sei mesi) onde circoscrivere al minimo indispensabile gli innegabili disagi connessi ad ogni prolungata attesa”.

C’è da augurarsi che dopo questa sentenza sia fatta giustizia, almeno su questi punti, all’obiezione di coscienza sia nell’opinione della gente sia nei comportamenti dello Stato.

Restano però altri punti da chiarire. La Corte, ad esempio, non ha ancora affrontato la questione di legittimità della commissione giudicatrice. Perché un medico può limitarsi a “dichiarare” la propria obiezione contro l’aborto, mentre il giovane che rifiuta il servizio militare deve sottoporsi ad un’indagine che riguarda il “foro interno”? E che titolo ha una struttura militare per indagare in materia di non violenza?

Altro punto. La sentenza della Corte non garantisce ancora sufficientemente i diritti dell’obiettore. E’ vero che il giovane può far ricorso contro Il ritardo. Ma è anche vero che tale ricorso può richiedere – prima di ottenere giustizia – nove mesi di tempo. Perché non si stabilisce il principio del silenzio-assenso? Passati i sei mesi la domanda dell’obiettore sarebbe automaticamente accettata.

Un altro punto ancora riguarda la durata del servizio civile. Perché l’obiettore di coscienza – se è vero che la sua scelta è legittima e costituzionale – deve essere costretto a servire lo Stato per una durata superiore di otto mesi a quella del servizio militare?

 

G.V.

 

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