Servizio civile, la spinta venuta da Barbiana

Avvenire 26 giugno 2007

 

Quarant`anni fa moriva don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana autore, tra l`altro, di una memorabile «Lettera ai Giudici» più nota al grande pubblico come «L`obbedienza non è più una virtù». E intera vicenda che videcoinvolto don Milani, dall`ordine del giorno dei cappellani militari toscani alla «Risposta» che gli diede il Priore e che gli costò una denuncia, dal processo in primo grado che lo vide assolto a quello d`appello che si tenne quattro mesi dopo la morte, costituisce un capitolo importante della storia dell`obiezione di coscienza nel nostro Paese. Quarant`anni dopo, che cosa resta di quella vicenda? Solo un ricordo, sebbene importante? Oggi, per fortuna, nessuno più definirebbe «vile» un obiettore di coscienza, così come chi obietta al militare non rischierebbe più di finire in galera, come invece capitava ai tempi di don Milani. Per qualcuno, forse, il «problema» dell`obiezione è stato risolto alla radice, sospendendo la leva obbligatoria e creando un servizio civile volontario, anche se proprio in questi giorni il nostro Parlamento discute una legge a favore di quanti – un tempo dichiaratisi obiettori – chiedono di rinunciare al loro status. E tuttavia, il messaggio del Priore di Barbiana resta con la sua straordinaria attualità. Come lui stesso dichiarò, a don Milani non importava tanto l`obiezione al servizio militare in sé, quanto piuttosto il rapporto tra la persona e la legge, tra la responsabilità individuale e il contributo personale alla costruzione del bene comune e della pace. L`obiezione, insomma, come paradigma dell`assunzione di responsabilità di fronte alle scelte da fare nella vita, seguendo il motto milaniano (di evidente attualità) per il quale ognuno deve agire come se si sentisse responsabile di tutto, in sintonia con la propria coscienza. Una coscienza non narcotizzata né addomesticata, ma maturata nella consapevolezza del cittadino non più suddito, ma sovrano. Questa, in sintesi, la lezione che don Milani continua a dare ai giovani. A cominciare da quelli, e sono stati quasi duecentomila in 6 anni, che scelgono di svolgere il servizio civile nazionale come modo d`impegno a favore della società. Quel servizio civile che l`indimenticato Giovanni Paolo II definì nel 2003 un «segno dei tempi» e che vuol essere, per chi lo fa, una scuola di cittadinanza attiva e responsabile. Uno strumento attraverso il quale una ragazza o un ragazzo, per un anno, crescono nella propria consapevolezza di essere cittadini di una comunità più ampia (addirittura senza frontiere, per chi fa servizio all`estero), rendendosi utili agli altri: coniugando, così, la solidarietà con la cittadinanza attiva, la costruzione della pace con l`impegno personale, la partecipazione democratica con la nonviolenza. «I care» era il motto della scuola di Barbiana. Ed è in fondo quello che ripetono ogni giorno le migliaia di giovani del servizio civile. Finita la lotta agli obiettori, terminata la leva obbligatoria, resta, dunque, una grande scuola per i giovani del nostro Paese, per far crescere cittadini-sovrani.

Grazie, don Milani!

 

Diego Cipriani, direttore generale Ufficio nazionale per il servizio civile

 

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