il manifesto, 21 settembre 2005
Il tema del servizio civile non può più essere ignorato o rimosso in quanto è stato proprio Romano Prodi a sollevarlo e ad introdurlo nel dibattito politico dell’Unione. Infatti, intervenendo a un convegno delle Acli, riunite a Orvieto, Prodi ha affacciato, sia pure con cautela, la proposta di introdurre un servizio civile obbligatorio di sei mesi e si è rivolto alla platea per sondarne gli umori: «chiedo a voi un consiglio per vedere se questa può diventare una proposta concreta». Secondo le cronache, la proposta è stata ben accolta e ha raccolto il plauso del presidente delle Acli, Luigi Bobba, convinto che occorra creare un «vincolo di cittadinanza» fra i giovani (cfr l’Unità di domenica 11 settembre).
E’ del tutto evidente che la proposta affacciata da Romano Prodi fa riferimento a una proposta di legge, presentata dall’onorevole Realacci. Tale proposta, già autorevole di per sé, in quanto appoggiata da un folto gruppo di deputati dell’opposizione che spazia dalla Margherita a Rifondazione, assume un notevole rilievo politico in quanto sembra che abbia esteso sostegno nel mondo dell’associazionismo. Infatti nella relazione introduttiva si legge che la proposta nasce da un ampio dibattito con associazioni quali Acli, Arci, Associazione nazionale alpini. Focsiv, Compagnia delle opere, Legambiente. Del resto la questione sollevata nella proposta Realacci affronta un nodo cruciale che non può essere ignorato e che impone delle risposte politiche adeguate. Il problema fondamentale è quello della cancellazione del servizio civile sostitutivo del servizio militare di leva, conseguente all’abolizione della leva, cessata con decorrenza dal primo gennaio 2005.
Un bene pubblico
Una delle conseguenze negative dell’abolizione della leva, che probabilmente non è stata – a suo tempo – attentamente valutata, è l’inevitabile abolizione del servizio civile sostitutivo. In questo modo è stato distrutto un bene pubblico repubblicano, un patrimonio pubblico che, concorreva –latu sensu -alla difesa della patria, attraverso l’impegno sociale di decine di migliaia di giovani, nei settori più disparati, in Italia e all’estero. La risposta che ne è stata data, con l’istituzione del servizio civile volontario della durata di 12 mesi di cui alla legge 64 del 2001, evidentemente non è idonea a recuperare il bene pubblico perduto. Quindi è urgente provvedere e la risposta deve necessariamente entrare nel programma politico dell’Unione.
Il valore positivo della proposta Realacci è tutto nel fatto che rende evidente questa urgenza, ma la soluzione proposta risulta giuridicamente impraticabile e quindi politicamente velleitaria, se non controproducente.
1985 ha respinto svariate eccezioni di illegittimità costituzionale della legge sull’obiezione di coscienza, statuendo che il servizio civile (sostitutivo) «non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa della patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato».
Dignità costituzionale
Con tale sentenza la Corte ha riconosciuto dignità costituzionale al servizio civile svolto dagli obiettori di coscienza, in base alla legge 772/1972, escludendo che la prestazione di tale servizio potesse costituire una deroga all’obbligo (inderogabile) di difesa della patria. Come è facile comprendere, tale richiamo alla sentenza 164/1985 non ha nessun riscontro, in quanto dalla considerazione che il servizio civile (sostitutivo) rientri genericamente nel dovere civico di difesa della patria, non può farsi discendere la possibilità di istituire un servizio civile di leva, dal momento che il secondo comma dell’art. 52, prevede come obbligatorio soltanto il servizio militare. Né nella Costituzione italiana vi sono altre norme che consentano una prestazione personale, così onerosa per la libertà personale,come potrebbe essere una leva civile obbligatoria per tutti.
Al contrario, il servizio civile obbligatorio si risolve in una prestazione di «lavoro forzato», come tale interdetta dalle convenzioni internazionali e, in particolare dall’art. 4 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (divieto di schiavitù e del lavoro forzato), che esclude dal novero dei lavori forzati soltanto il servizio militare e gli eventuali servizi sostitutivi del servizio militare obbligatorio prestati dagli obiettori di coscienza. Orbene lo scoglio rappresentato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) è uno scoglio insuperabile, non soltanto perché la Cassazione ha statuito che le norme della Cedu non possono essere modificate da leggi ordinarie (sentenza 6672/98), ma soprattutto perché il rispetto della Convenzione è presidiato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che non fa sconti a nessuno. E’ quindi facile prevedere che i «coscritti» presenterebbero un fiume di ricorsi contro l’Italia innanzi alla Corte di Strasburgo. Ma c’è un motivo ancora più forte dell’antigiuridicità formale che rende la proposta del servizio civile obbligatorio impraticabile.
Vale solo l’incentivo
Il servizio militare in tanto può essere obbligatorio in quanto i «coscritti» vengono inseriti in una struttura del lutto particolare, quali sono le Forze armate, nelle quali vige un forte livello di costrizione e si svolge in luoghi (le caserme) vigilati da guardie armate, dalle quali è impossibile entrare o uscire senza autorizzazione.
Il servizio reso negli enti di servizio civile, al contrario, non può essere reso (e non può neppure essere concepito), se non è frutto di una scelta «volontaria» di chi lo presta. Gli enti di servizio civile, per loro natura, non possono trasformarsi in «caserme» e «costringere» i coscritti a prestare un servizio obbligatorio, inviando i Carabinieri a catturare quelli che fuggono.
E’ evidente che bisogna battere altre strade se si vuole salvare quel bene pubblico repubblicano rappresentato dall’impegno sociale di migliaia di giovani a difesa della nostra patria. Il servizio civile non può essere obbligatorio, ma deve essere incentivato. Ci sono tante strade per farlo: è ora di cominciare a discuterne seriamente.
Domenico Gallo
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