Perché è stato assolto don Milani che difese gli obiettori di coscienza

La Stampa, martedì 5 aprile 1966 – pagina 7

 

«Condannare don Lorenzo Milani per quanto ha ritenuto di scrivere sul problema, della obiezione di coscienza equivarrebbe a colpire non già una azione contraria al precetto penale, ma un’opinione». Questo hanno detto i giudici del Tribunale, spiegando i motivi per i quali, il 15 marzo scorso, hanno prosciolto il sacerdote toscano dall’accusa di avere fatto l’apologia del reato di diserzione e di disobbedienza militare, scrivendo una lettera aperta in difesa degli obiettori di coscienza in polemica con taluni cappellani militari che li avevano definiti «vigliacchi».

«Un ordinamento autenticamente democratico – hanno osservato i giudici nella sentenza la cui motivazione è stata depositata oggi nella Cancelleria del Tribunale – non deve temere la libera espressione delle idee, essendo tristo privilegio di cosiddetti regimi “forti” quello della repressione penale delle idee».

L’episodio che ha fornito il pretesto ai giudici per questa affermazione risale al febbraio 1965, quando don Milani, un sacerdote toscano, replicò vivacemente ad un ordine del giorno approvato dai cappellani militari contro gli obiettori di coscienza e venne incriminato.

«E’ innegabile – hanno osservato i giudici assolvendo don Milani – che il problema dell’obiezione di coscienza si è imposto in maniera sempre crescente, negli ultimi anni, all’attenzione della pubblica opinione alimentando dibattiti, polemiche e iniziative, tra cui la presentazione di quattro proposte di legge da parte di deputati appartenenti in massima parte alla maggioranza governativa».

«La conveniente soluzione di questo problema – hanno sottolineato i giudici – sembra potersi attuare solo attraverso una regolamentazione legislativa dell’obiezione di coscienza, tanto più che così facendo l’Italia si troverebbe nel solco già tracciato dalla maggior parte dei Paesi del mondo nei quali o non vige la coscrizione obbligatoria (Inghilterra, Germania Occidentale, Australia, Canada) oppure, sussistendo la coscrizione, si riconosce sul piano giuridico l’obiezione (Usa, Brasile, Belgio, Olanda, Paesi Scandinavi: complessivamente un miliardo di uomini). Insieme con l’Italia si trovano allineati nella non regolamentazione giuridica dell’obiezione pochi Paesi europei, il Sud Africa e tutti gli altri Stati a regime comunista».

«Ma in attesa che il Parlamento prenda in esame le proposte di legge non si può contestare – hanno posto in rilievo i giudici – il diritto costituzionalmente garantito di dibattere il problema, di sviscerarne tutti gli aspetti e le implicazioni e di additarne le soluzioni».

Fissando quindi il principio che si possa discutere il problema, il Tribunale ha stabilito poi che don Milani non ha superato i limiti del diritto di critica ad una legge penale per sconfinare nel reato di apologia. Ed opinare diversamente – hanno concluso i giudici – significherebbe svuotare di qualunque sostanziale contenuto il principio della libertà di stampa, se si consentisse che gli obiettori di coscienza possano essere soltanto offesi e non difesi.

«D’altro canto – è la tesi del Tribunale, facendo propria quella del difensore avv. Adolfo Gatti – don Milani, parroco di Barbiana, ha elogiato gli obiettori come portato di una idea e non ha esaltato il reato da loro compiuto; ha posto in luce gli ideali che spingono gli obiettori a subire il carcere pur di non tradire i loro principi e non ha glorificato la ribellione alla legge». I giudici hanno soltanto espresso una riserva a proposito del giudizio negativo di don Milani sulle imprese militari italiane negli ultimi cento anni. «Non sarebbe stata inutile – hanno osservato – una indagine per stabilire se nelle indubbiamente gravi, superficiali e gratuite affermazioni di don Milani al riguardo non si potessero ravvisare gli estremi di vilipendio alle forze armate e di offesa all’onore di un capo di Stato estero».

Ma comunque – hanno aggiunto in polemica con il P.M. che aveva negato il diritto a resistere di fronte ad una legge – nella lettera di don Milani non vengono espressi concetti pericolosi per l’ordine pubblico, ma soltanto un’esigenza che si è riproposta in termini nuovi dopo la seconda guerra mondiale. In tale prospettiva – essi hanno commentato – l’obiezione del pensiero di don Milani è testimonianza di una profonda convinzione contro la violenza, non già espressione di viltà o di asocialità o peggio di disfattismo. E tutto questo ragionamento ha indotto il Tribunale ad assolvere don Lorenzo Milani perché il fatto non costituisce reato.

g.g.

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