Obiezione respinta, “disertore” in galera

Il manifesto, mercoledì 23 maggio 1984

 

Nel corso della conversazione Claudio Fontana spesso volge lo sguardo verso il calendario: «Fino al 16 maggio ero considerato renitente alla leva, ma dal giorno 21 l’accusa nei miei confronti è molto più grave: i magistrati militari mi considerano un disertore». 21 anni, assistente socio-sanitario presso la fondazione «Pro Iuventute Don Gnocchi», obiettore di coscienza, Claudio parla della sua attuale posizione giudiziaria con molta pacatezza, dimostra di non avere paura, pur sapendo che in via dello Storno 16 a Milano, la sua abitazione, i carabinieri si faranno vivi molto presto per rendere esecutivo il mandato di cattura nei suoi confronti.

«L’estrema scelta» di non presentarsi in caserma non è una «follia». Claudio è testardo ma è consapevole dei rischi che sta per correre. Ha prevalso in lui la convinzione di essere stato privato del diritto all’obiezione di coscienza, del diritto alla pratica della non violenza. La documentazione che si porta sempre dietro testimonia la sua storia fatta di lettere ai ministeri, interpellanze parlamentari, ricorsi e controricorsi, fino al recapito presso la sua abitazione della cartolina gialla con «l’ordine di presentarsi al battaglione S. Martino a Sulmona». Quell’ordine a cui il nostro interlocutore ha deciso con un certo coraggio .di sottrarsi.

 

Quando iniziano le tue vicissitudini?

Nel 1981, quando decisi di fare domanda nei vigili del fuoco. Un corpo interessante che avevo visto all’opera durante il terremoto del Friuli. lo ero andato sul luogo per contribuire alla ricostruzione, nella speranza che la mia esperienza nel campo degli impianti idraulici potesse essere utile alle zone disastrate

 

Perché scegliesti di arruolarti in quel corpo?

Ero convinto che arruolarsi nei corpi normali non servisse a niente … una perdita di tempo. E poi i vigili non fanno uso di armi. Mi sembrava la scelta più coerente con le mie posizioni non-violente ma soprattutto con la mia esperienza pratica.

 

Sei cattolico?

No, ma per anni ho frequentato i boy-scouts. Poi ,in attesa di diplomarmi come assistente sociale, ho cominciato a fare lavoro volontario al Giambellino. Chi conosce Milano sa che in quel quartiere l’emarginazione è tremenda, la violenza è molto diffusa, lo spaccio di droga è all’ordine del giorno. Ho iniziato a fare ripetizioni ai ragazzini e insieme ad altri ho costituito un gruppo di animazione sociale. E’ grazie a quelle esperienze che ho maturato l’idea dell’obiezione di coscienza.

Nel novembre del 1982, dopo 4 giorni di visite mediche e di lunghe attese alle Capannelle a Roma, mi viene detto che non sono abile per i vigili del fuoco. La cosa non mi sconvolge: decido, nonostante il parere contrario di un colonnello del distretto, di presentare domanda come obiettore di coscienza, dopo essermi consultato con la Loc la Lega degli obiettori di coscienza. Le vere difficoltà iniziano il 7 settembre 1983 quando ricevo una cartolina con l’ordine di presentarmi d’urgenza al distretto: quel mercoledi mi danno la prima sorpresa. Mi viene consegnato un foglio con l’intestazione del ministero della difesa sul quale si legge: «l motivi filosofici e morali che il giovane pone a fondamento della sua obiezione sono contrastati dalla circostanza che egli ha presentato domanda di arruolamento volontario nel corpo dei vigili del fuoco. Si è indotti a ritenere pertanto che alla base della sua richiesta vi siano ragioni di comodo e di opportunità».

 

A quel punto cosa hai fatto?

La mia prima reazione è stata di rabbia. Mi sembrarono molto offensivi quei riferimenti con tono burocratico alle “ragioni di comodo e di opportunità”. Tutta la mia esperienza, sia pur limitata, dimostra il contrario. E poi il riferimento ii vigili del fuoco mi pareva fuori luogo. La scelta di quel corpo la feci proprio per evitare l’uso delle armi. Passata la rabbia decisi di non mollare, capii che era necessario andare fino in fondo. Mi convinse tra l’altro l’articolo di un magistrato di Torino, esperto di giurisprudenza militare, che denunciava l’estrema discrezionalità delle commissioni che decidono sull’obiezione di coscienza e la mancanza di criteri.

 

Ci sono casi precedenti simili al tuo?

Si un pretore di Chivasso ha concesso la sospensione dalle liste di leva a un ragazzo che, dopo essere stato fatto abile nell’aeronautica, un corpo non proprio pacifico, ha scelto l’obiezione di coscienza.

 

E’ a questo punto che inizia il tuo carteggio con le istituzioni?

Proprio così. Ho fatto ricorso al Tar e contemporaneamente, assieme alla Loc, ho inviato una lettera alla Dc, al Pci, al Pdup, al Partito radicale e a Democrazia proletaria, affinché venissero fatte interpellanze sul mio caso. Le interpellanze sono state fatte dall’on. Beniamino Brocca per la Dc, da Zanini e Cerquetti per il Pci e Cafiero, Castellina e Crucianelli per il Pdup. Purtroppo però l’iniziativa parlamentare non ha avuto risposta. In compenso, nel febbraio 1984, il colpo finale: il Tribunale amministrativo regionale mi nega la sospensione dalle liste di leva. E’ il segnale che mi vogliono costringere a partire prima della sentenza definitiva.

 

E tu non ti sei rassegnato.

No, infatti. Altrimenti non sarei qui a parlare con te. Indosserei già la divisa militare. Visto che il Tar mi aveva chiuso quasi tutte le strade, ho deciso di ricorrere al Consiglio di stato tramite il mio avvocato e di inviare un telegramma alla procura militare di Roma chiedendo una risposta urgente sul mio caso. La risposta del Consiglio di stato la sto ancora aspettando. Gli amici della Loc mi hanno molto aiutato. Il 16 maggio, giorno in cui dovevo partire, abbiamo fatto una conferenza stampa, una specie di titolo della mia e di altre storie: «Come le scelte non violente subiscono la violenza dello stato». Il mio lungo carteggio con le istituzioni italiane il 3 maggio si è arricchito con una lettera al presidente della repubblica. E vorrei rifare qui a Pertini la stessa domanda della lettera: «E’ giusto che un cittadino italiano debba rinunciare a un suo diritto di avere giustizia e vada a compiere un’azione che contrasta con i suoi principi etici e morali prima ancora che lo stato si sia espresso in una delle sue emanazioni qual è il Tar?». Ma forse – aggiunge Claudio Fontana – la domanda è ornai retorica, visto che da qualche giorno sono considerato un disertore.

 

Cosa farai adesso?

Non posso far altro che aspettare i carabinieri. Tutto quello che era nelle mie possibilità l’ho fatto. Ho ricevuto lettere di solidarietà dalla CisI e dalla Lega handicappati, con la quale ho lavorato. La stampa ha parlato in varie occasioni del mio caso, forse grazie anche alla mia testardaggine. La mia storia è limpida: credo di avere tutti gli “attestati” per poter scegliere l’obiezione di coscienza. Adesso tocca alle autorità del mio paese dire qualcosa di definitivo.

 

Bruno Perini

 

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