Il Popolo, domenica-lunedì 14-15 dicembre 1986
C’è chi ci ha messo cinquanta ore, complici gli scioperi, per arrivare sin qui in treno, dalla Sicilia. Ne valeva la pena, dopo ben quattro anni (troppi ha commentato qualcuno) dal primo convegno nazionale. Ancora i giovani obiettori di coscienza, nonostante una legge, li riconosca dal ’72, hanno bisogno di ritrovarsi insieme a gridare al Paese che non sono clandestini, ma cittadini come tutti gli altri, con pari diritti e con nessuna intenzione di attentare alle regole della democrazia.
Ieri a Milano, nell’aula magna dell’Università cattolica; erano stipati in millecinquecento, agguerritissimi nel chiedere subito la nuova legge e la cessazione degli incresciosi episodi di intolleranza di cui si è fatta protagonista negli ultimi mesi proprio l’istituzione, con circolari e ispezioni al limite della intimidazione. L’incontro degli obiettori di tutto il Paese è stato voluto dalla Caritas italiana e del suo direttore don Giuseppe Pasini.
L’organismo che con maggior credito e serietà dal 1976 – sotto l’impulso del convegno ecclesiale su Evangelizzazione e promozione umana – si occupa del servizio civile, si è fatto pertanto promotore, oltreché di un’opera di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, «di un’azione di contatto e pressione sulle forze politiche, e specificamente sulla commissione difesa della Camera, incaricata di stendere la nuova legge». Lo stile è rimasto quello del primo appuntamento nazionale, con invitate le grandi associazioni del mondo cattolico: l’Azione cattolica, l’Agesci, Gioventù aclista, Comunione e liberazione.
La legge subito, dunque: questa la parola d’ordine degli obiettori, per i quali il servizio civile «da concessione dello Stato» deve diventare «diritto soggettivo»; da servizio «sostitutivo» trasformarsi in servizio «alternativo».
Il convegno, dopo un avvio di comunicazioni sulle istanze degli obiettori (don Pasini), sul cammino di maturazione di un decennio (Roberto Rambaldi, vice direttore della Caritas ambrosiana), sui risvolti giuridici dell’intera materia, a conferma che non v’è alcuna intenzione di delegittimare l’impianto fondato sulla carta costituzionale (Giuseppe Anzani, magistrato), e dopo una serie di testimonianze dalle diverse regioni, ha avuto il suo momento clou, anche dal punto di vista polemico, con la tavola rotonda pomeridiana sulle prospettive politiche di breve e medio periodo. Con Caccia, e moderati con arguzia ed eleganza da monsignor Attilio Nicora, vescovo ausiliare di Milano, c’erano il sottosegretario alla Difesa Vittorio Olcese, il comunista Enea Cerquetti, membro della commissione Difesa della Camera, relatore di minoranza, e il segretario confederale della Cisl Franco Bentivogli.
Poche parole, quelle del repubblicano Olcese, ma tali da suscitare, come era nelle previsioni, rumorose reazioni della foltissima platea di giovani; non si sono limitati a un brusìo all’atto dell’esordio, ma lo hanno anche solennemente fischiato, quando ad esempio ha parlato di «sogni» a proposito di un «servizio non armato». Gli è stato riconosciuto tuttavia il merito della franchezza, là dove – citando la sentenza della Corte costituzionale e i riferimenti al pari peso dei due servizi e alla necessità di condurre quella civile «entro l’ambito della difesa» – ha ricordato un limite oggettivo scritto nella nostra Carta fondamentale, precisamente all’articolo 52. Olcese ha lamentato abusi, ma anche ammesso che «gli esempi peggiori giungono purtroppo dalle stesse articolazioni dello Stato, degli enti locali». Una bozza di testo unificato è pronta solo ora, ha spiegato Caccia, perché fra l’altro si è dovuta attendere un anno la proposta comunista.
Ora siamo alla stretta finale, con questi capisaldi: obiezione come diritto, non sottoponibile al giudizio di un giudice particolare; riferimento alla presidenza del Consiglio; esplicitazione, all’atto della domanda, delle motivazioni, dell’ente che si sceglie e dell’area vocazionale cui ci si sente portati; nascita del servizio civile nazionale, ma senza caratteristica di onnipotenza, che veda la compartecipazione delle libere associazioni; durata di soli tre mesi oltre la ferma militare, tre mesi da dedicare alla formazione; piena equiparazione al servizio di leva.
Il PCI dal canto suo ha mostrato tutta la sua pesante arretratezza sulla materia, ammessa implicitamente, ma occorre dire con lealtà, dall’on. Cerquetti, il quale si è peraltro avventurato in un ragionamento contorto, secondo cui il servizio civile come «alternativa» sarebbe una richiesta da inscrivere nel pernicioso disegno di stravolgimento del modello di difesa del nostro Paese. Il giudizio negativo dei comunisti sulla proposta Caccia (di maggioranza, ma senza il consenso del PSI) dipende dalla sua presunta, eccessiva prospettiva aperturista e alternativista.
Marco Giudici
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