Avvenire, martedì 17 giugno 1986
In un recente documento, la Conferenza Episcopale Umbra riconosceva nell’obiezione di coscienza al servizio militare un importante segno di pace in linea con l’insegnamento evangelico. . Una altrettanto decisa presa di posizione al riguardo era contenuta nel documento conclusivo dell’Assemblea dell’Azione Cattolica. Analogo incoraggiamento viene dal Sinodo della diocesi di Vicenza.
Occorre tuttavia precisare, una volta per tutte, a chi fosse preso da fastidio o dal ricordo di storici steccati tra lo Stato e i cattolici, che si tratta di fenomeno che non riguarda solo loro, ma i cittadini di qualsiasi fede religiosa o credo politico, e che anzi la campagna a favore di tale forma di obiezione affonda le sue radici antiche nel lavoro di movimenti antimilitaristi e pacifisti non cattolici.
L’adesione dei cattolici è più recente anche se oggi appare decisiva. Come tutti sanno, esiste una legge dello Stato che regola il servizio civile sostitutivo del servizio militare, e istituisce questo diritto consentendone l’esercizio nelle modalità stabilite. Tuttavia l’atteggiamento del ministero della Difesa sul piano amministrativo è decisamente contrario e negativo.
Il ministero forse intende scoraggiare il fenomeno in quanto esso ha assunto dimensioni molto grandi e, tenuto conto della denatalità, e fatte le debite proiezioni per gli anni futuri, questo fatto rischierebbe di creare problemi al servizio di leva?
Esiste già la circostanza che la legge prevede per il servizio civile un periodo di 20 mesi invece dei 12 del servizio militare. E questo dovrebbe rassicurare circa le buone intenzioni dei candidati. Per di più, il ministero non rispetta spesso i tempi previsti di 6 mesi per il vaglio e l’accettazione delle domande con le loro procedure, e da un anno esso ricorre alle precettazioni d’ufficio generalizzate per creare problemi agli obiettori.
lnfatti l’articolo 3 della Convenzione tra il ministero della Difesa e gli enti di servizio civile che consentono lo svolgimento di tale servizio presso di loro agli obiettori, recita: «L’assegnazione degli obiettori da parte dell’Amministrazione verrà normalmente concordata con l’ente sulla base della predisposizione degli obiettori e del progetto generale di servizio dell’ente medesimo, legato alle sue finalità istituzionali, fatte salve, comunque, le esigenze dell’amministrazione».
Questo articolo non viene rispettato da un anno, e fioccano le assegnazioni d’ufficio di obiettori a enti che non le hanno concordate e non sono stati nemmeno interpellati o richiesti dì parere. Questa causa di disagio di avere talvolta obiettori non adatti ai compiti che devono svolgere, ma soprattutto giovani che non condividendo finalità, spirito e attività degli enti, prestano la loro opera con comprensibile malavoglia, con grandi riserve mentali e facendo il minimo indispensabile. A questo punto tuttavia il disagio non è dei soli obiettori, ma soprattutto degli enti.
E’ vero che un obiettore motivato, adatto al suo compito e in consonanza con l’ente può essere di valido aiuto, ma è anche vero invece che molto spesso si tratta di giovani per lo più studenti che non sanno fare alcunché dì qualificato, e se non sono anche motivati finiscono per sentirsi ed essere frustrati e di peso. Gli enti in ultima analisi da sempre fanno un favore allo Stato e agli obiettori consentendo al primo l’applicazione di una legge e ai secondi l’esercizio dì un diritto che esiste da parte loro nei confronti dello Stato, ma non nei confronti degli enti.
E’ vero che lo Stato deve scoraggiare i furbi (ma ci sono già i 20 mesi previsti dalla legge per questo) e quelli che vogliono fare pochi sacrifici, essere vicini a casa, e unire in qualche modo l’utile al servizio civile a scapito del servizio stesso, ma non deve per questo penalizzare gli enti che compiono già un grande lavoro sociale nella loro normale attività e si vedono caricati dì un peso. Finora le proteste sono state inutili, per quanto dettate dal bene degli obiettori, e degli enti e dei loro assistiti, nonché dal senso di dignità e di rispetto che lo Stato deve avere nei confronti dei diritti dei cittadini.
Carlo Manfredini, vice presidente di Cooperazione e sviluppo
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