L’obiezione non è più una virtù

Litterae Comunionis, n. 6/1982

 

Il fenomeno è ormai rilevante; nel 1981 sono state presentate al Ministero della Difesa 18000 richieste di obiezione di coscienza (contro le cento del 1973). Il sensibile aumento delle domande è certamente dovuto anche al calcolo di molti giovani che sperano, grazie alle lentezze burocratiche del ministero, di evitare il servizio militare, di «imboscarsi». Per altri si tratta di continuare in un servizio in cui erano già impegnati, per alcuni infine di scelta antimilitarista.

Tutta la materia dell’obiezione di coscienza e del conseguente servizio civile è regolamentata dalla legge 772 del 1972; come si sa essa prevede che un giovane che rifiuti, per motivi appunto di coscienza, di prestare servizio militare sia tenuto a svolgere un servizio civile sostitutivo per la durata di 20 mesi. L’obiettore attua il suo servizio presso enti e associazioni preventivamente convenzionatesi col Ministero. Questa legge, pensata per un fenomeno quantitativamente ridotto, sembra superata dall’evoluzione sia numerica che culturale cui è andato incontro il fenomeno dell’obiezione di coscienza in questi anni. I lunghi mesi di attesa cui i giovani che hanno fatto richiesta di obiezione sono costretti dimostrano con evidenza la inadeguatezza della attuale formulazione legislativa; per avere una qualsiasi risposta dalla unica commissione giudicante si può aspettare anche due anni con i comprensibili disagi che questa situazione provoca per esempio nella ricerca del lavoro e comunque per l’incertezza sul proprio futuro.

Occorre una riforma. Ne esiste una proposta formulata dal ministro Lagorio; essa però offre il fianco a possibili interpretazioni di tipo statalistico in quanto sembra abolire la possibilità di convenzioni tra Ministero e enti privati per la gestione del servizio civile. Da molte parti si è comunque d’accordo nel proporre al Ministero l’accettazione d’ufficio di tutte le domande inevase, la riforma dell’attuale legislazione che snellisca ogni iter burocratico e garantisca, fatto salvo il diritto di controllo da parte dello Stato, un effettivo pluralismo di esperienze di servizio.

Continuare una esperienza

Ma quali sono le motivazioni che spingono sempre più giovani, fra cui moltissimi cattolici, a scegliere l’obiezione e il servizio sostitutivo a quello militare? Abbiamo voluto incontrare alcuni obiettori in servizio di Milano perché rispondessero a questa domanda. Per Arsenio, impegnato in un centro contro le tossicodipendenze del quartiere «Barona», il motivo principale della scelta è stato il desiderio di continuare una esperienza di servizio nel proprio quartiere iniziata già da tempo; « Ho voluto mettermi al servizio e impegnarmi concretamente in una realtà di cui già conoscevo i bisogni “. Anche Daniele, che segue un gruppo di anziani al «Giambellino», afferma di aver iniziato per dare un contributo alla soluzione dei numerosi problemi umani e sociali che la realtà del suo quartiere pone; «Come cristiano, nonostante la mia incapacità, avevo qualcosa da dire; non potevo stare fermo di fronte alla assoluta mancanza di pace, di condizioni umane vivibili, di comunicazione. Voglio che il mio servizio aiuti ogni uomo che incontro a riscoprire la sua dignità». L’obiettore, secondo Mauro, sempre del Giambellino, dovrebbe essere come «l’antenna dei bisogni presenti nel territorio».

Risulta quindi riduttivo pensare all’obiettore innanzitutto come a colui che rifiuta l’uso delle armi e che poi si rassegna, visto che la legge lo prevede, a svolgere anche il servizio civile; in realtà moltissimi giovani decidono di non prestare servizio militare mossi soprattutto dal desiderio di impegnare quel tempo a servizio di esperienze assistenziali e caritative in cui già erano precedentemente impegnati, dando loro continuità. Se costruire la pace, significa porre dei fatti di socialità rinnovata un servizio civile così impostato è effettivamente un’opera di pace.

E di queste «opere di pace» ce ne sono di vario tipo, Alla Barona si è costituito un gruppo di volontariato contro le tossicodipendenze «La cascina» il cui asse portante è formato proprio dagli obiettori; il gruppo intende soprattutto orientare i tossicodipendenti verso strutture più specializzate, aiutare le famiglie ad affrontare il problema e sensibilizzare tutta la gente del quartiere. All’altro capo di Milano, al quartiere Samo Leonardo, anch’esso composto da casedormitorio in cui la spersonalizzazione della metropoli è più evidente, opera la casa del giovane «La Madonnina» ; qui alcuni obiettori seguono dal punto di vista educativo una sessantina di minori disadattati aiutandoli nelle pratiche di lavoro, ma soprattutto nell’inserimento nella vita di rapporti umani da cui sono sempre stati esclusi. Al «Giambellino», noto anche ai non milanesi come simbolo di violenza e di tensione, opera una comunità di obiettori il cui lavoro consiste per alcuni nell’aiuto ai minori m difficoltà e per altri nel servizio domiciliare agli anziani del quartiere; in pratica si va dal doposcuola per i ragazzi che ne hanno bisogno all’opera educativa verso chi entra ed esce dal carcere minorile; dal rapporto personale con gli anziani al servizio domiciliare di pulizia, alle pratiche burocratiche.

Necessità della testimonianza

Per i cristiani l’opera del servizio civile comunque non può limitarsi all’aspetto assistenziale; occorre riconoscere l’obiettivo dell’impegno dei cristiani in ogni aspetto della vita civile: la testimonianza di Cristo redentore dell’uomo e quindi la costruzione della sua presenza storica che è la Chiesa. L’opera del servizio civile non può essere slegata dal progetto globale di testimonianza e di socialità nuova che i cattolici sono tenuti a dare nel contesto disumanizzante della nostra società. E’ quindi corretto che le esperienze che svolgono un servizio sociale effettivo nell’intento di rendere presente la novità di vita del cristianesimo possano utilizzare per la loro azione anche gli obiettori; anzi ogni obiettore nell’atto di scegliere di non fare il militare dovrebbe saper indicare nella costruzione di che cosa intende impiegare il suo tempo, e a servizio di quale realtà.

Se è vero che l’obiettivo dei cristiani nel campo sociale deve essere la testimonianza dell’umanità nuova portata da Cristo, ne consegue che l’ambiente della caserma, dove si consumano spesso dei veri drammi umani e dove la convivenza è particolarmente deteriorata, non può essere «snobbato» dai cristiani; il servizio militare è un momento importante della vita di molti giovani ed è quindi un campo in cui mostrare la capacità dell’annuncio cristiano di «salvare» la vita. E non vale l’obiezione di Mauro: «Certo non si può negare questa importanza, ma ragionandoci su ho scoperto che una testimonianza cristiana in caserma è impossibile per la violenza e la disumanità della sua organizzazione»; se così fosse al cristiano non resterebbe che ritirarsi da un mondo che appunto è organizzato in modo violento e disumano.

I limiti della non violenza

Un secondo filone di motivazioni al servizio è costituito dalla scelta antimilitarista che in molti casi si affianca e sovrappone alla prima. Sia Arsenio che Daniele ricordano che la sensibilità ai temi della non violenza è stata ‘ suscitata in loro dopo che avevano iniziato il servizio. Per Guglielmo invece, che lavora al quartiere San Leonardo, il rifiuto del militare e della sua struttura è stata la spinta essenziale per la scelta del servizio civile: «Il militare – dice – è una cosa contro la natura dell’uomo».

D’altro canto ci sono alcuni che, come Stefano di Bologna, si definiscono «obiettori in crisi»; «Questo non vuol dire che io riconosca nelle armi un intrinseco valore, tutt’altro. Sono in discussione le motivazioni che mi hanno portato all’obiezione, sono sempre più ferme quelle che mi hanno permesso di scegliere il servizio civile. Non ritengo l’obiezione pregiudiziaIe all’impegno in servizio civile».

A sostenere particolarmente un’azione antimilitarista è la LOC, Lega Obiettori di Coscienza, che anche in ambienti cattolici, su questo punto esercita una particolare influenza, pur essendo, per sua stessa ammissione, organizzativamente e culturalmente in crisi. Insistere sull’aspetto della obiezione di coscienza come scelta antimilitarista più che sul servizio civile, porta con sé conseguenze che non possono essere trascurate. Per esempio si rischia di favorire una tendenza al disarmo unilaterale (come richiesto dalle frange più estreme della sinistra italiana) o comunque l’abolizione della responsabilità del cittadino verso la difesa della nazione; d’altro lato si rischia di incoraggiare la realizzazione del servizio di leva volontario (come proposto dai missini) lasciando così in mano la difesa della nazione a quelle forze che più sarebbero tentate da avventure bellicistiche.

La difesa della nazione

Proprio sulla responsabilità del cittadino di difendere la propria nazione si è svolta l’ultima parte delle interviste agli obiettori milanesi. Secondo Guglielmo «Se una nazione è completamente smilitarizzata un’altra potenza ci penserebbe due volte prima di attaccarla perché avrebbe contro tutte le altre»; obietto che storicamente i paesi deboli sono sempre state le prime vittime e poi che nella sua prospettiva la difesa verrebbe affidata ad altri paesi comunque armati. «In ogni caso – risponde – piuttosto che far venire una guerra con tutti gli sterminii che comporta preferisco avere un governo straniero invece di questo»; insomma meglio rossi che morti? «Sì – conclude – mi va benissimo». Per Daniele addirittura non c’è problema perché non c’è la nazione da difendere; «La nazione italiana non esiste, esiste solo la mia gente; in fondo se l’Austria ci invadesse chi se ne frega; io mi sento solidale con i fratelli austriaci perché come me hanno interessi da difendere che sono diversi dagli interessi dei potenti. Insomma non nazionalità, ma internazionalismo di classe». L’irresponsabilità è dunque verso quell’insieme di storia, di cultura, di valori e di esigenze che si chiama nazione.

Non è, in conclusione, necessario incoraggiare l’obiezione di coscienza né tantomeno presentarla come una opzione da privilegiare se si vuole essere dei buoni cattolici quasi fosse una scelta derivata direttamente dallo spirito evangelico (del resto mai la Chiesa si è pronunciata in tal senso). Dove comunque esistessero dei motivi personali seri la scelta dell’obiezione va aiutata ed educata perché esprima la parte migliore di sé evitando di cadere nell’ambiguità da cui molte volte è determinata. Occorre sviluppare la potenzialità di tale scelta come educativa alla dimensione della gratuità e della dedizione responsabile alla crescita della convivenza civile in modo più umano. Ma la gratuità è possibile solo nel riconoscimento del fatto che gratuitamente ha salvato la storia: Cristo, e nel desiderio di costruire il suo segno nel mondo: la Chiesa. Questo riconoscimento diventa inevitabilmente un’opera; diventa la messa in atto di strutture, esperienze di assistenza, momenti di socialità totalmente determinati dal principio della gratuità che costituisce così attore di umanità nuova e di diversa convivenza, in definitiva di pace; e se consegue a un impegno già in atto con quest’opera, l’obiezione è credibile.

 

Pippo Cantù

 

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