L’obiezione di coscienza. A chi dà fastidio?

Messaggero di sant’Antonio, n. 1-gennaio 1987

 

L’espressione «obiezione di coscienza», anche se con difficoltà (sono in molti a chiamarla «obiezione difficile») è entrata ormai a pieno titolo nel patrimonio culturale, etico e religioso del nostro paese. Ma non piace a tutti: alcuni scorgono in essa un atteggiamento di contrapposizione «sovversiva» e pericolosa nei confronti dell’ordine costituito; altri la vedono colorata di «rosso» o figlia prediletta di forze radicali o anarchiche; molti, infine, ne hanno paura perché costituirebbe un pericoloso inizio di erosione di molti sistemi politici, non solo totalitari o totalizzanti, ma anche rappresentativi e democratici.

MA COSA SI INTENDE esattamente per obiezione di coscienza? È un concetto di difficile definizione, anche perché attiene sia al diritto, sia alla politica, sia all’etica. In linea generale si può dire che l’obiezione di coscienza è il rifiuto di obbedire ad un imperativo giuridico in nome di un imperativo etico, che è radicato nell’intimo di ogni uomo, nella coscienza; quest’ultima, intesa come il «luogo» in cui la persona si costituisce e cresce, attraverso la scelta e l’assunzione di valori di fondo, che muovono il divenire della personalità, e in base ai quali l’uomo progetta la propria vita. Dire «obiezione», quindi, significa «gettare contro» l’imperativo giuridico un altro imperativo, che scaturisce da una legge diversa, ritenuta superiore dalla coscienza; «coscienza», infine, vuoi dire ancora razionalità, consapevolezza, progettualità, giudizio.

L’autentica obiezione di coscienza è sempre una presa di posizione personale, che, in nome di principi che la coscienza ritiene vincolanti, propone un’alternativa alla legge, coinvolgendo tutta la persona e la sua impostazione della vita.

Tutt’altro che sentimentalismo o reazione emotiva, dunque. In linea di massima, l’obiezione di coscienza è rapportata, quasi sempre, ad altre due espressioni (servizio militare-servizio civile, nonviolenza-pace) e ha in sé due componenti essenziali: un «no» (alle armi e alla violenza) e un «sì» (alla nonviolenza e alla pace).

Perciò obiezione di coscienza al servizio militare è il «no» all’uso delle armi, il rifiuto della violenza, l’applicazione, coerente fino all’estremo, dell’imperativo morale «non uccidere»; un imperativo che ha il suo fondamento di ragione avvertibile da chiunque, credente o non credente.

Ma accanto al «no» nei confronti del servizio militare l’obiezione di coscienza contempla un «sì» al servizio civile; servizio civile che comprende due facce: da una parte, il porre la propria energia fisica, intellettuale ed affettiva a disposizione della collettività e in particolare dei più deboli ed emarginati; dall’altra, con l’aggettivo «civile» si pone l’accento sulla «non militarità» e su un servizio non limitato a soddisfare interessi interni e particolari di un partito, di un’associazione o di una chiesa, ma rivolto a soddisfare bisogni e interessi della società in quanto tale, della comunità civile globalmente considerata.

Negli ultimi mesi dell’anno appena trascorso, i temi dell’obiezione di coscienza, del servizio militare e della pace, sono balzati prepotentemente alla ribalta a seguito di avvenimenti nazionali e internazionali di grande portata: il dibattito polemico sviluppatosi a seguito dei molti suicidi verificatisi tra i militari; la circolare ministeriale del 5 giugno 1986, relativa alla gestione degli obiettori di coscienza; l’incontro tra Usa e Urss sul problema degli armamenti; il deciso intervento del papa a Firenze contro le armi, convenzionali e non; e l’incontro di preghiera per la pace di Assisi.

Ma fermiamoci all’obiezione di coscienza al servizio militare nel contesto italiano che è regolata da una legge, la 772, proposta dal democristiano Marcora e approvata nel 1972.

LA LEGGE RICONOSCE, ad ogni cittadino obbligato alla leva, la possibilità di essere obiettore di coscienza, per profondi convincimenti «religiosi», «filosofici» o «morali», e quindi che possa essere ammesso a prestare un servizio civile «sostitutivo» (con durata superiore di 8 mesi al normale periodo di leva). Le domande vengono sottoposte al giudizio di una commissione nominata dal Ministero della difesa. Nel caso di ammissione, la legge prevede che il ministero, in attesa dell’istituzione del servizio civile nazionale, distacchi gli obiettori presso enti, organizzazioni e corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile, di tutela e incremento del patrimonio forestale.

Attualmente gli enti convenzionati col ministero sono più di 1500 e il numero degli obiettori, dal 1972 ad oggi, è andato progressivamente crescendo: nel 1973 erano 200 e nel 1974 diventano 300; salgono a 400 nel ’75, a 800 nel ’76, a 1.000 nel ’77, a 1.500 nel ’78 e a 2.000 nel 79. La punta massima viene raggiunta nel 1985 con 10.000 obiettori in servizio civile. Nei primi mesi dell’86, secondo dati ufficiali, c’è stata una flessione di quasi il 20 per cento.

Nel settembre del 1979 il Ministero della difesa emana una circolare dal titolo: «Provvedimenti da adottare in caso di mancato o ritardato impiego nel servizio civile sostitutivo». Chiunque abbia presentato domanda di obiezione, trascorsi comunque 26 mesi (6 di attesa e 20 di vero o presunto servizio), può chiedere ed ottenere il congedo. Le cifre si gonfiano a dismisura e c’è la possibilità legale di imboscarsi. «Una circolare “mostruosa”, che ha screditato l’intero fenomeno, contraria agli interessi e alla dignità dei veri obiettori», afferma il magistrato Rodolfo Venditti.

Il 18 aprile 1984 la circolare viene revocata e qualcuno propone di riformare la 772. Nel maggio 1985 la Corte costituzionale stabilisce che la 772 rispetta l’obbligo della difesa della patria, sacro dovere per ogni cittadino. La Corte invita il ministero a rispondere alle domande entro il termine dei 6 mesi fissati dalla legge. Il Consiglio di stato, dal canto suo, con una decisione adottata in adunanza plenaria il 24 maggio 1985, ritiene che l’amministrazione non possa rigettare le richieste avanzate dagli obiettori. Ormai è polemica aperta fra obiettori e Ministero della difesa; quest’ultimo è accusato di interpretare la legge in modo riduttivo, limitativo e persecutorio verso gli obiettori.

La polemica riecheggia dai mass-media: il Ministero della difesa è sotto accusa e si chiede la riforma della legge 772. Nel frattempo il ministero emana un’altra circolare (il 5 giugno 1986) nel tentativo di reagire duramente. Ma c’è una presa di posizione netta da parte di tutti gli enti convenzionati col ministero stesso: tra questi la Caritas italiana, che nel 1986 ha in forza 1.800 obiettori, scaglionati in 150 diocesi e impiegati in oltre 700 centri di servizio in favore di handicappati, tossicodipendenti, malati mentali, ecc.; la richiesta è di immediato ritiro o modifica in senso positivo della circolare «punitiva». Perché?

LA LEGGE 772 non chiarisce lo status di obiettori di coscienza al servizio militare; gli obiettori sono considerati delle sottospecie di militari; non viene colto né accettato lo specifico del servizio civile che – soprattutto se svolto nei settori socio-assistenziali e sanitari – esige predisposizione, preparazione e idoneità: elementi che il ministero non è assolutamente in grado di verificare e realizzare.

La legge, inoltre, impone 8 mesi in più di servizio rispetto ai militari, con evidente tendenza punitiva e scoraggiante. La maggiorazione di tempo vorrebbe giustificarsi sia col presunto minore peso del servizio civile (sic!), sia con l’esigenza di porre un filtro che assicuri l’autenticità degli obiettori; ma la norma finisce per discriminare i più poveri e punire indiscriminatamente gli obiettori più seri.

La legge, ancora, non prevede nessun periodo di formazione degli obiettori, mentre contempla l’esistenza di una commissione «militare» che giudichi la coscienza e verifichi l’autenticità dei motivi addotti dagli obiettori.

Nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, l’amministrazione non ha mai rispettato il tempo di 6 mesi, previsti dalla legge per il riconoscimento degli obiettori. La media è tuttora (sempre secondo la Caritas) di 13-15 mesi, ai quali vanno aggiunti altri 4-5 mesi per la destinazione agli enti.

Nel frattempo, non è stato realizzato il «servizio civile nazionale» (previsto dalla legge) e la stessa amministrazione è stata costretta a utilizzare esclusivamente convenzioni private, senza un criterio oggettivo di idoneità a gestire il servizio civile. E, come se non bastasse, con l’ultima circolare del 5 giugno 1986, ha avviato la prassi della precettazione d’ufficio, destinando obiettori a tutt’altri servizi da quelli per i quali erano stati preparati. Infine, ha posto un capestro agli enti, imponendo di pagare gli obiettori anticipatamente, e riservandosi di rimborsare le spese sostenute a distanza di mesi.

La proposta nuova che sta emergendo è quella di modificare il servizio «sostitutivo» (quello attuale) con un servizio «alternativo» che coinvolga tutti (uomini e donne) in un anno di servizio alla società: verrebbe in tal modo rispettato – sostiene Giuseppe Pasini, direttore della Caritas italiana -, nella lettura e nello spirito, il dettato della Costituzione italiana, interpreta to però secondo una concezione più moderna, quale è stata prospettata da una recente e poco conosciuta sentenza della Corte costituzionale (n. 164 del 24 maggio ’85) che, collegando la legge sull’obiezione di coscienza all’articolo 52 della Costituzione, afferma che «occorre distinguere tra povere di difesa e obbligo del servizio militare armato; il primo è un dovere inderogabile di solidarietà politica; il secondo non è –un dovere inderogabile, anche se si ricollega al dovere di difesa».

L’ipotesi del «servizio sociale alternativo » potrebbe trovare nell’anno di volontariato sociale (già molto diffuso in altri paesi europei e presente da alcuni anni in Italia) un punto di riferimento e potrebbe costituire, per molti giovani, un’introduzione pedagogicamente efficace alla vita sociale.

E gli obiettori di coscienza? Essi avranno altre strade per far camminare i valori e le tensioni di cui sono portatori. E saranno soddisfatti nel constatare che va allargandosi nello stato la concezione di «difesa» e che il legislatore va scoprendo i punti vitali nei quali la «patria» è minacciata; patria non più intesa in senso geografico-territoriale, ma in senso «civile»: costituita cioè da cittadini, visti come fine e mai come mezzo, e soprattutto da quelli considerati «marginali». Idea utopistica? Non utopistica ma utopica, purché utopia significhi non l’irrealizzabile ma il non ancora realizzato.

 

Francesco Meloni

 

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