Leva, coscienza e missili

Concretezza, 16 febbraio 1963

 

Non si può certo dire che in Italia si dibattano molto i problemi militari. Una giusta considerazione della riservatezza (e talora della segretezza) della materia, ha debordato in una acquisita abitudine ad escluderla dai temi ordinari della stessa polemica politica, pur disposta ad invadere qualsiasi altro settore.

Se consultiamo la stampa inglese e gli atti di quel Parlamento troviamo appassionate controversie sull’adozione dell’uno o dell’altro missile, sugli indirizzi della produzione aeronautica, sul primato del naviglio militare leggero e così via. Da noi invece, per restare nell’ultimo anno, se si escludono le vicende dei soldati-padri, giunti in caserma con il figliuolo in braccio, e delle unità alpine colpite dall’epatite virale non si può dire che i soggetti militari abbian tenuto le pubbliche scene.

Da qualche settimana, però, le cose stanno cambiando e vi sono state tre occasioni per invertire la rotta: tutte e tre legate a discussioni parlamentari, vertenti rispettivamente sulla ridotta ferma militare, sulla condanna di un obiettore di coscienza e sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio – reduce da Washington – sopra la sostituzione degli apparati missilistici nel Mediterraneo.

Vogliamo fare qui qualche chiosa al dibattito.

Qual è la durata «giusta» del servizio militare di leva?

Per rispondere a questo interrogativo bisogna considerare due momenti del servizio: quello iniziale di addestramento e quello presso i reparti operativi. La formazione della recluta dipende certo da molti fattori individuali: la preparazione culturale e tecnico-professionale, la prestanza fisica, la conoscenza delle armi, l’attitudine alla vita collegiale e alla sua disciplina. E se da un lato oggi sono scomparse le macchiette di una volta ignare (ogni riferimento alla politica è casuale) della differenza tra la destra e la sinistra, è pur vero che la premilitare e … l’Opera Balilla davano ai ragazzi una discreta nozione almeno del moschetto, del fucile mitragliatore e delle marce in parata. Comunque è concorde l’opinione che per la generalità dei coscritti il … noviziato possa essere più celere rispetto ad un tempo anche non molto lontano.

La permanenza nei Corpi dipende invece in gran parte dalla quantità di truppe che devono essere tenute in stato di potenziale combattimento. Fino a che avremo un blocco sovietico forte di tante divisioni sempre pronte all’azione, gli occidentali non possono smobilitare le loro unità difensive.

I nostri buoni comunisti, che facevano la propaganda per la riduzione della ferma a dodici mesi anziché ai quindici del progetto governativo, ci devono spiegare come mai la pacifista Russia e tutti i suoi alleati abbiano e mantengano la ferma a ventiquattro mesi. Non è certo ammissibile che quei giovani siano così tardivi da aver bisogno di venti mesi di sgrezzamento, contro i nostri tre o quattro. È la concezione politica dei tanti milioni di baionette che imprigiona l’ansia di vita civile di quelle popolazioni.

È vero: c’è di peggio, e la Cina popolare infatti ha la ferma di trentasei mesi. Anche nel campo comunista il peggio non è mai morto. Noi, però, con i nostri quindici mesi diamo un esempio magnifico di rispetto congiunto dell’efficienza delle Forze armate e delle sane aspirazioni, lavorative e familiari, della nostra gioventù.

La celebrazione di un processo in Firenze contro un giovane obiettore di coscienza ha dato l’avvio ad una ripresa emotiva delle dispute in proposito.

Va detto subito che il fenomeno è quantitativamente di dimensioni esigue. I casi riscontrati si contano sulle dita di una mano, e suonano pertanto come manifestazioni di falso patriottismo le geremiadi sconsolate sopra una minore sensibilità civica delle odierne generazioni.

Qualcuno pensa di cavarsela – ed ha ragione solo tatticamente – opponendo ai propagandisti dell’obiezionismo che in Russia questo non è riconosciuto. Ma sarebbe strano il contrario! Dove non c’è libertà di cu1to, di stampa, di associazione, di critica ecc. perché mai dovrebbe esser riconosciuta questa sfumatura di libertà?

Sbagliato è anche il riferimento alla dottrina cristiana, tirata in ballo dalle sinistre (e da altri), in quanto il processato di Firenze era un cattolico. Intanto la distinzione è odiosa, perché di fronte ad una eccezione mossa dalla coscienza di una persona, a me sembra irrilevante che questa sia cattolica, evangelica o maomettana. Ma è poi giusto appellarsi al cattolicesimo? Forse i milioni di giovani che hanno fatto O fanno senza discutere il loro servizio mi1itare, sono animati da un desiderio di uccidere o da spirito di violenza? E Giovanna d’Arco – difficilmente catalogabile tra gli obiettori di coscienza – non ha raggiunto la virtù in grado eroico?

Faremmo bene a ricordarci più spesso – ed in senso largo – del comandamento di non nominare invano il nome di Dio.

Nella seduta pubblica del Senato l’onorevole Iorio, socialista, ha lanciato un’idea che va approfondita, anche alla luce dell’esperienza di altri Paesi. Se si creasse un servizio civile di durata doppia di quello militare, noi potremmo rispettare la particolare delicatezza di qualche coscienza, senza il timore di incoraggiare comunque i furbi, gli obiettori senza coscienza e gli speculatori politici. È un binario per una meditazione all’altezza del tema.

Il proposito americano di sostituire i missili intermedi a base fissa, con missili a base mobile e sottomarina essendo venuto a maturazione pochi giorni prima della visita del presidente Fanfani negli Stati Uniti, ha dato luogo ad illazioni e commenti non giusti.

Qualche anno fa a fronteggiare la minaccia militare russa (nucleare e non) erano indispensabili i missili di dissuasione impiantati in punti strategicamente validi del continente europeo. L’Inghilterra, l’Italia e la Turchia non si tirarono indietro dinanzi a questa necessità, che sortì del resto il felice esito di bloccare nel settore europeo ogni iniziativa sovietica contro la pace. La rapida evoluzione tecnica ha dato poi la possibilità di avere missili a propellente solido e situati su basi mobili. Di qui la sostituzione dei Thor e dei Jupiter con i Polaris, parallelamente a quella dei Corporal delle armate di terra con i Sargeant.

Essendo venuta dopo Cuba e dopo Nassau, la decisione americana si è prestata anche ad interpretazioni politiche, ma il problema tecnico mantiene tutta la sua validità. Quello che gli alleati esigono dagli Stati Uniti è che il settore mediterraneo non resti sguarnito, ma sarebbero leciti i dubbi verso una Nazione che mantiene a difesa dell’Europa la Sesta flotta, centinaia di migliaia di soldati e potentissimi squadroni aerei?

Intanto l’Italia ha preso apertamente – o meglio l’ha rinnovata – posizione a favore della forza nucleare multilaterale della NATO. È stato un atto, governativo e parlamentare, di importanza notevolissima. Altro che avvio alla politica di disimpegno!

Se i Polaris vanno sui sommergibili americani – e domani su quelli NATO – perché l’incrociatore Garibaldi è stato attrezzato allo stesso fine?

Il quesito n on è impertinente, e la risposta è precisa. Le dottrine militari sono in continua evoluzione, con frequenti ritorni di marcia. Con lieve spesa, quando si è impostato l’armamento del rinnovato incrociatore lanciamissili, si è prevista anche la possibile dotazione di alcuni Polaris. Per il resto, con le sue attrezzature antiaeree e le altre, il Garibaldi è pronto ad assolvere a tutti i suoi compiti istituzionali, di scorta ai convogli ecc. Può darsi che quando nascerà la forza multilaterale NATO la dottrina riconosca di nuovo che nel Mediterraneo le basi mobili di superficie siano adatte ai missili intermedi. In questo caso si discuteranno i problemi politici connessi. Prima di allora, parleremmo di temi non di attualità.

Ma se intanto a Ginevra ci si accordasse per una efficace politica di disarmo?

Questo è nei nostri auspici e al fondo di tutta la politica occidentale. L’essenziale è il riconoscere che il disarmo non può essere solo unilaterale.

 

Giulio Andreotti

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