Avvenire, 2 dicembre 1993
Egregio Signor Presidente, come saprà è iniziato nei giorni scorsi, presso la Commissione Difesa del Senato, l’iter della legge recante “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”. Il testo, già approvato dalla Camera dei Deputati il 29 settembre scorso, tende a riformare profondamente e significativamente tutta la materia riguardante l’obiezione di coscienza al servizio militare nel nostro Paese, materia finora regolata dalla legge 772/72. Una legge ormai vecchia, travolta da ben sette sentenze della Corte Costituzionale, e inadatta a gestire una realtà che coinvolge ogni anno quasi 30.000 giovani e circa 2.000 Enti di servizio civile. Una legge da riformare.
E la riforma sarebbe già operante se l’allora Capo dello Stato, il l febbraio 1992, non avesse rinviato il testo di legge alle Camere, che subito dopo furono sciolte. Il nuovo Parlamento, quello che sembra dover terminare fra poco la sua breve durata, è riuscito, col voto della Camera, a sanare una profonda lacerazione, provocata da quella decisione, tra le Istituzioni e la società civile, e in essa i giovani.
Va dato atto al Governo da Lei presieduto di aver assicurato l’apporto positivo perché i Deputati potessero approvare un testo che, nonostante la sostanziale affinità con la legge non promulgata da Cossiga, è stato rimaneggiato in ben otto articoli anche grazie ad alcuni emendamenti governativi.
All’indomani dell’approvazione di quel testo, però, già il Ministro della Difesa esprimeva pubblicamente dubbi sulla bontà di quella legge e dichiarava la necessità di emendarla ulteriormente durante il dibattito a Palazzo Madama. Ovviamente, lo stesso Ministro ometteva di precisare il contenuto di queste modifiche, così avvalorando l’impressione che le sue sortite (accompagnate da quelle degli alti gradi delle Forze Armate) miravano unicamente a dilazionare, e quindi affossare, l’approvazione di questa legge.
Non mi permetto di entrare nei particolari della questione riguardante il malessere interno alle Forze Armate o il più vasto progetto di ridefinizione della politica di difesa del nostro Paese, né mi avventuro nelle ipotesi di modifica di questa legge, legge che il Parlamento ha già per ben tre volte sanzionato con un voto a larghissima maggioranza. Esprimo soltanto alcune perplessità dettate dal buon senso.
Le chiedo: qual è la posizione del Governo sul destino della nuova legge sull’obiezione di coscienza? Quella positiva espressa alla ,Camera o quella negativa che si appresta ad assumere al Senato?
Ella, Signor Presidente, ha fama di essere uomo corretto e coerente. Ma come potrebbe spiegare un così improvviso cambio di rotta ai 30.000 giovani che ogni anno chiedono semplicemente di servire la Patria in maniera alternativa rispetto ai loro coetanei in divisa?
Perché parlo di affossamento? è chiaro a tutti che una seppur minima modifica a quel testo apportata al Senato provocherebbe il rinvio alla Camera e, visto l’imminente scioglimento anticipato del Parlamento, la sua mancata approvazione. Il Suo Governo verrebbe in tal modo ad assumersi la stessa responsabilità negativa che, al termine della precedente legislatura si assunse, per unanime valutazione, il Capo dello Stato dell’epoca.
Non si dica infine che la questione è estranea ai problemi di risanamento economico, sociale e morale del Paese che so esserLe tanto a cuore: sarebbe infatti francamente assurdo disperdere e sprecare giovani energie e risorse umane di null’altro desiderose di tradurre in pratica quotidiana quella solidarietà nazionale di cui l’Italia ha sempre più urgente bisogno.
A nome dei giovani che vogliono servire la Patria scegliendo il servizio civile e, mi permetta, a nome dei poveri e degli emarginati che spesso sono i destinatari di questa solidarietà in azione, Le chiedo un atto di coerenza e di chiarezza perché il Governo da Lei diretto garantisca l’approvazione rapida e senza stravolgimenti della nuova legge sull’obiezione di coscienza.
Cordialmente.
Mons. Giuseppe Pasini, Direttore della Caritas Italiana