Lettera a «La Nazione»

La Nazione, 12 gennaio 1963

 

Poiché il rifiuto di indossare la divisa militare non può essere giustificato in alcun modo da un vero cattolico, poiché tale assurdo gesto di disubbidienza alle leggi dello Stato è stato motivato da Giuseppe Gozzini con pretesi principi derivanti dalla morale cattolica, poiché il Gozzini si è professato socio di Azione Cattolica, sento il dovere di dare alla stampa alcune norme tratte dalla dottrina della Chiesa e dall’insegnamento pontificio, in modo che i giovani cattolici fiorentini non vengano tratti in errore da un gesto arbitrario, che mettono il suo protagonista al di fuori delle norme di ubbidienza alle legittime autorità dello Stato e quindi contro i principi della morale cattolica.

San Tommaso, nella Somma Teologica, dopo aver detto che Dio è il nostro primo principio dell’essere e del governo, così continua: «In secondo luogo, principi del nostro essere e del nostro governo, sono i genitori e la patria, per opera dei quali, e nella quale, noi siamo nati e veniamo nutriti. Perciò, dopo che a Dio, l’uomo è massimamente debitore ai genitori ed alla patria. Di conseguenza, come alla religione spetta tributare a Dio il culto, così in secondatio grado spetta alla pietà tributare il culto ai genitori e alla patria» (2″, 2″, q. 101).

Dall’enciclica «Caritatis» di Leone XIII del 19 marzo 1894 ai vescovi della Polonia: «Tra le altre lodi spettanti ai vostri antenati, brilla di particolare fulgore quella di aver offerto alla spaventata Europa, assalita da potenti nemici del nome cristiano, i loro petti per primi a difesa, in splendide battaglie, e di essere stati gli strenui difensori, e fedelissimi, della religione e della stessa civiltà».

Pio XII ai pellegrini svizzeri il 16 maggio 1947: «Tutelate la patria contro ogni ingiusta aggressione. Soltanto in questo caso, per una guerra di difesa, impugnate strenuamente le armi».

Pio XII ai granatieri di Sardegna il 6 novembre 1955: «È doveroso che siano ricordati con onore quelli che non esitarono di fronte al sacrificio supremo e si immolarono, in silenziosa semplicità, nel compimento del loro dovere. Avendo essi bene meritato della patria, è giusto che questa procuri, quanto è possibile, di esaltare la loro memoria. Vivano essi anche per ricordare a tutti il dovere dell’amore di patria; non risparmiando, se fosse necessario, un serio richiamo a quanti – spesso inconsciamente, talvolta per ragioni non confessabili – si ostinano a battere la via della non collaborazione pur fra tanta urgenza di opere atte alla ricostruzione, e si abbandonano finanche a maldicenze e a calunnie contro la madre patria… Non occorre ripetere qui ciò che in varie occasioni abbiamo detto circa il diritto dello Stato alla difesa contro gli ingiusti aggressori, fino a quando non siasi trovata una formula efficace per imporre a tutti il rispetto alle frontiere e dei beni altrui. E il grido “Dissipa, o Signore, le genti che vogliono le guerre” ci piace elevarlo qui, davanti a migliaia di valorosi soldati, pronti come un giorno, come sempre a sacrificare la vita se la Patria dovesse richiamarli».

Dalla lettera apostolica «Veritatem facientes» del 27 marzo 1952 all’episcopato e ai fedeli della Romania: «È del tutto manifesto, che coloro i quali sono fedeli seguaci del Cristianesimo e si sforzano di metterne in pratica gli insegnamenti, a nessuno sono inferiori nell’amor patrio, nel rispetto delle autorità civili, nell’obbedienza alle norme stabilite, purché queste non impongano cose contrarie alle leggi naturali, divine, od ecclesiastiche ».

 

Don Luigi Stefani, Assistente diocesano della G.F. di A.C.