Rocca, 15 novembre 2000
Perché mentire? Perché far finta di non aver capito? Perché votare in massa, destra e sinistra insieme (con l’eccezione del voto contrario di Rifondazione comunista e dell’astensione dei Verdi) la legge per l’abolizione del servizio militare obbligatorio? Perché il pacifismo, che già accettò di far marciare per la pace, da Perugia ad Assisi, il D’Alema reduce dalla guerra del Kosovo, «brinda» alla cancellazione dell’obbligo militare?
La verità pura e semplice è che il Parlamento – la Repubblica italiana – ha abolito il Servizio civile alternativo, ha deciso di mandare a casa e di restituire alle discoteche centomila giovani che ogni anno a spese dello Stato avrebbero potuto essere impegnati in compiti di varia utilità sociale, ed ha abrogato l’obiezione di coscienza al servizio militare, ponendo così fine alla lunga e coraggiosa battaglia cominciata con Don Milani e conclusa nel 1998 con una delle più straordinarie leggi sull’obiezione di coscienza che un ordinamento politico moderno avesse mai concepito. Ciò che trionfa è invece proprio lo strumento militare, sottratto ad ogni obiezione e ad ogni riserva politica e civile, perché rifondato sulla salda roccia del danaro e presidiato e perpetuato dal danaro.
Sono bastati poco più di due anni per portare a buon fine una simile controrivoluzione. La destra aveva fatto barricate, dal 1972 al 1998, per bloccare la riforma della prima maldestra legge sull’obiezione di coscienza, per interdire l’ingresso a pieno titolo di questo istituto nell’ordinamento e per impedire il riconoscimento dell’obiezione come diritto costituzionale. Aveva fatto perfino ricorso nel 1992 all’arma assoluta, il rifiuto del Presidente della Repubblica Cossiga di promulgare la legge di riforma, accusata di voler «de-nazionalizzare» il Paese e di essere tributaria di una cultura di «viltà, di paura e di resa».
In realtà la legge di riforma, quale era stata licenziata allora dal Parlamento, e come è stata alfine approvata e promulgata nel 1998, aveva sottratto l’obiezione di coscienza al vaglio e al beneplacito delle autorità militari, riconoscendola come un diritto inviolabile, e soprattutto aveva cambiato la natura del bene tutelato da tale diritto: che non era più, come nella legge di tolleranza del 1972, la condizione dei cittadini «contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi», ma era la condizione dei cittadini che, a motivo della loro opposizione alle armi, «non accettano l’arruolamento nelle Forze Armate». Dunque non più le armi, come fattore personalmente contaminante, ma le Forze Armate stesse diventavano l’oggetto del diniego (il che escludeva perciò un servizio militare non armato); e perciò l’obiezione da fatto individualistico di rifiuto ad usare personalmente le armi, diventava un fatto politico, di opposizione all’uso delle armi, e quindi di rifiuto della istituzione che delle armi rappresenta storicamente la massima legittimazione e la massima utente. E tutto ciò non come trasgressione tollerata, ma come attuazione ed adempimento della stessa Costituzione repubblicana. E su questa scia, come variante pacifica e non violenta dell’obbligo costituzionale della difesa della Patria, si fondava il Servizio Civile alternativo, ma pur sempre obbligatorio, che un ministro della Difesa, Nino Andreatta, oggi purtroppo confinato in una solitaria lotta tra la vita e la morte, arrivò a definire come un Servizio di «difesa dei diritti».
È questo che il vecchio sistema, attualmente in via di impetuosa restaurazione, non poteva accettare, e di cui ora è riuscito a realizzare il rigetto. Purtroppo un pacifismo miope, ed inconsapevole della posta in gioco, gli ha spianato la strada, con la rivendicazione massimalistica di una pari durata dei due servizi, che ha voluto fosse introdotta nella legge, non cogliendo l’opportunità offerta dalla Corte Costituzionale della previsione di una maggior durata del Servizio civile, con l’aggiunta di tre mesi – peraltro assai utili – per la formazione degli obiettori. Ciò avrebbe offerto una protezione all’arruolamento nelle Forze Armate, che sarebbe stato rifiutato solo dai veri obiettori, disposti a tradurre in un impegno di poco più lungo una scelta di valori e di vita ritenuta degna di essere pagata a un prezzo più alto.
Non essendosi fatto ciò, è accaduto che, a parità di condizioni e di durata, l’obiezione si è trasformata in una semplice opzione facoltativa tra i due Servizi, il militare e il civile, mentre i Distretti hanno posto ogni cura nel mascherare ai giovani, all’atto dell’arruolamento, la vera natura della scelta, al punto che la maggior parte dei giovani optanti per il Servizio civile non sono neanche venuti a sapere di essere «obiettori».
A questo punto, con le domande di «obiezione» giunte a quota 140.000, è stato un gioco, o come già avevano fatto De Gaulle dopo l’Algeria e Reagan dopo il Vietnam, abolire, con l’obbligo, anche l’obiezione. E sono rimasti solo gli Alpini, per non scomparire, a difendere le ragioni dell’esercito di leva. Ma qui c’erano ben più che gli Alpini. C’era una conquista costituzionale e politica che scompare dopo una brevissima stagione, c’era un’occasione straordinaria, per la democrazia e per la gioventù italiana, che è andata perduta.
Raniero La Valle
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