Avvenire, martedì 15 maggio 2001
Torna, anche quest’anno, la Giornata internazionale dell’obiezione di coscienza. Se è vero che sono sempre meno gli Stati nei quali vige ancora la leva obbligatoria, e quindi la possibilità di obiettare, tuttavia le ragioni che stanno al fondo di quel “no” alle armi ha purtroppo ancora cittadinanza. Se guardiamo infatti alla situazione internazionale e ai numerosi conflitti che insanguinano il pianeta, ci accorgiamo che le armi sono ancora lo strumento col quale gli uomini s’illudono di risolvere i contrasti. Il tutto condito con quel diffuso pragmatismo con cui viene affrontato il tema della pace. Sembra che siano gli eserciti quelli che di fatto difendono la pace e che, comunque, senza di loro, essa non può mantenersi. Ad una distanza abissale dalla promessa di Isaia «..non si eserciteranno più nell’arte della guerra…» e dal comando di Gesù: «…rimetti la spada nel fodero!» che motivano ancor oggi l’obiezione all’uso della armi.
Anche la cosiddetta «ingerenza umanitaria», pur legittima a certe precise condizioni, rischia di offrire un ritorno della guerra giusta, una palla al piede che ha condizionato per secoli teologia e politica. Essa, invece, come ha ricordato autorevolmente il Papa, dev’essere considerata come ultima ratio dopo il fallimento della politica e dell’azione nonviolenta per risolvere i conflitti. Insomma, dovremmo essere abituati a vedere al lavoro molti più mediatori e obiettori che soldati.
Anche per questo, obiettori di coscienza, enti convenzionati, associazioni e gruppi chiedono non solo in Italia la costituzione di un corpo civile di pace, come già auspicato qualche anno fa dall’Onu e dal Parlamento Europeo. Nel nostro paese qualche timido tentativo va facendosi strada e speriamo che anche le istituzioni non restino sorde a questo appello.
Se numerosi sono i focolai di guerra che divampano nel mondo, altrettanto numerosi sono ancora gll Stati (molti dei quali impegnati proprio in quelle guerre) che impediscono ai propri cittadini di opporsi, in nome della propria coscienza, di servire la propria patria in anni. Proprio la prossima settimana si terrà a Istanbul la riunione del Comitato Permanente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che avrà all’esame l’adozione di un rapporto sull’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza negli Stati membri.
È significativo che un tale incontro si tenga in uno dei Paesi che non riconoscono ancora un tale diritto e in cui gli obiettori vengono condannati al,carcere, come anche questo giornale in passato ha documentato.
Né possiamo ignorare l’analoga situazione in cui si trova un numero sempre più crescente di giovani israeliani che vengono imprigionati a causa del loro rifiuto di servire il proprio Paese nelle forze armate, particolarmente impegnate in questo tempo in operazioni «di sicurezza».
A questi giovani che pagano di persona la loro voglia di pace va la nostra ammirazione e solidarietà. Ai responsabili delle nazioni in cui non è ancora un diritto dire «no» al servizio militare non possiamo non ricordare quanto la «Gaudium et spes», al n. 79, già trentasei anni fa diceva: «sembra conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso della armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana».
Diego Bona, presidente di Pax Christi Italia
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