La Repubblica, venerdì, 7 aprile 1989 – pagina 10
L’obiezione di coscienza al servizio militare è regolata oggi dalla legge. Si prevede che gli obiettori presentino una domanda motivata su cui una Commissione dà un parere al ministro, il quale provvede con decreto di accoglimento o di rigetto.
I giovani obiettori prestano servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile per un tempo superiore di otto mesi alla durata del servizio di leva cui sarebbero tenuti. Il servizio civile prevede il distacco presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela e incremento del patrimonio forestale ciò in attesa che venga istituito il Servizio civile nazionale che, sebbene previsto da dodici anni, non è ancora nato.
La Corte costituzionale si è occupata più volte di questa legge. I punti fermi che ha fin qui raggiunto possono essere così riassunti: a) nelle sentenze n. 53 del 1967 e n. 164 del 1985 fu detto che la difesa della patria grava su tutti i cittadini senza esclusione, e rappresenta un dovere supremo che trascende e supera lo stesso dovere del servizio militare. Infatti, mentre il dovere di difesa è inderogabile, nel senso che nessuno lo potrebbe far venir meno, il servizio militare è obbligatorio, ma, come dice l’art. 52 della Costituzione, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
Ora, la legge che ha dato ingresso all’obiezione di coscienza non si traduce in una deroga al dovere di difesa della patria, limitandosi a sostituire, nel caso, il servizio militare armato con altre prestazioni personali di portata equivalente, riconducibili anch’esse all’idea di difesa della patria; b) nella sentenza n. 113 del 1986 la Corte, nel disporre che gli obiettori di coscienza siano sottoposti alla giurisdizione dei tribunali ordinari anziché dei tribunali militari, confermò che il servizio civile, in quanto limite all’adempimento dell’obbligo del servizio militare, costituisce un’alternativa di natura profondamente diversa dal servizio militare. Questo vuol dire che la Corte, nel riconoscere la conformità alla Costituzione della legge sull’obiezione di coscienza, riconosce nel frattempo la pari dignità fra i due servizi il servizio civile è visto non come sostitutivo, ma come alternativo a quello militare.
La legge si è attirata numerose critiche, ed è finita perciò nuovamente in Corte costituzionale. Nel frattempo il parlamento sta tentando di sostituirla con un’altra che rispetti maggiormente l’impostazione data dalle tre sentenze della Corte. Ma il lavoro di rifacimento va molto a rilento. Non è pensabile che la legge intervenga prima della decisione della Corte.
E la Corte non ne approfitterà? Al suo esame è attualmente solo la maggior durata del servizio civile rispetto a quello di leva che peraltro è prevista, sia pure in misura minore, nella nuova legge in gestazione. I giudici che hanno invocato la Corte si battono a fondo per l’incostituzionalità della maggior durata osservano che non si può affermare in linea generale ed astratta la minore gravosità del servizio non armato o civile; che, anzi, spesso il servizio civile può essere più gravoso e di maggiore responsabilità (come nelle comunità terapeutiche per tossicodipendenti); ma soprattutto che non è affatto detto che il servizio civile non possa e debba essere ancor più gravoso di quello militare, dato che tutto è rimesso all’organizzazione e all’iniziativa del Servizio civile nazionale il quale può senza alcun dubbio applicare gli obiettori a servizi con rischi, responsabilità e disagi non minori di quelli del servizio militare.
Perciò la ratio della maggiore durata del servizio civile appare consistere esclusivamente nell’intento di esercitare una remora, un concreto ostacolo all’esercizio dell’obiezione di coscienza, una sorta di sbarramento diretto a saggiare la serietà della stessa. Ma lo Stato non può violare il principio di eguaglianza per seguire scorciatoie furbesche e sostanzialmente autoritarie, …, né, tanto meno, avallare prassi in materia di attuazione del servizio civile idonee soltanto a screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica.
È strano che anche tre deputati della Sinistra indipendente alla Camera si siano dichiarati favorevoli ad un periodo di ferma leggermente più lungo del servizio militare di leva corrispondente, solo perché si sa che il servizio militare si svolge spesso in condizioni ambientali, disciplinari, psicologiche tali da rendere comunque ineguale il peso delle due opzioni. A me pare in realtà che lo sfascio generale del servizio militare e di quello civile non giustifichi la violazione del principio di eguaglianza.
Infine, una risoluzione del parlamento europeo del 7 febbraio 1983 afferma che lo svolgimento di un servizio di sostituzione non può essere considerato come una sanzione, talché la durata del servizio stesso non deve eccedere quella del servizio militare ordinario.
Sarebbe ora che ci avviassimo verso un maggiore rispetto delle coscienze. Il cittadino che non vorrà portare le armi o che non vorrà addirittura partecipare all’organizzazione militare avrà il diritto di optare per il servizio militare non armato o per il servizio civile, senza essere penalizzato in alcun modo, pur dovendo essere gravato di pesi non inferiori a quelli che impone il servizio militare armato.
Se la legge pone un’alternativa che rispetta il dovere di difesa della patria, il diritto di scelta deve poter essere esercitato nella piena libertà. La difesa del territorio nazionale da invasori è comprensiva anche di comportamenti di impegno civile non armato. Ma la Repubblica potrà aver bisogno di noi anche in tempo di pace, per le altre emergenze che purtroppo sono endemiche nel nostro paese. Le Forze armate si vedono già oggi assegnato tale compito lo stesso graverà anche sugli obiettori di coscienza. È giunto il momento che la Corte detti un insegnamento che vietando ogni discriminatorio aumento della ferma valga nello stesso tempo a cancellare una norma esistente e ad impedire che venga riprodotta nel futuro.
Paolo Barile