Il manifesto, giovedì 5 luglio 1984
Siete obiettori di coscienza? Vorrei segnalarvi un caso molto grave avvenuto alcuni giorni fa. Un certo Terzi di Borgosatollo, vicino Brescia, è stata arrestato per una storia dl obiezione di coscienza. Adesso è addirittura. in cella d’isolamento. Fate qualcosa per lui! Il Comune del suo paese ha organizzato manifestazioni di solidarietà… ma i carabinieri lo hanno messo ugualmente in carcere». Sono le 10.30 del mattino quando la gentile signora si sofferma brevemente davanti alla tenda color verdastro montata sul marciapiede di largo Cairoli dalla Lega obiettori di coscienza.
Il breve racconto fatto dalla donna è l’ennesimo esempio di repressione attuato dalle autorità del nostro paese nei confronti di coloro che si rifiutano di indossare la divisa militare per ragioni di coscienza antimilitarista. Terzi, secondo le parole concitate della signora «di passaggio», si era sottoposto alla procedura rituale: aveva inoltrato domanda di obiezione al distretto competente. Non avendo ricevuto risposta entro i termini regolamentari aveva iniziato il servizio civile. Terminato il servizio si era autocongedato.
Le autorità militari non hanno digerito il comportamento dell’obiettore, al punto da rinchiuderlo in cella d’isolamento come disertore.
«Come vedi – afferma Renato Pomari segretario nazionale della Loc – i casi di repressione si moltiplicano di giorno in giorno». Per fermare la mano delle autorità che «inquisisce le coscienze degli obiettori», la Loc ha eretto nel centro di Milano una specie di campeggio metropolitano; Enrico Santocumma ed Enzo Caputo da una settimana attuano un digiuno a sola acqua per protestare e sensibilizzare l’opinione pubblica sugli innumerevoli casi di violazione del diritto all’obiezione. Il pesante digiuno è stato iniziato soprattutto per ricordare i casi di Marco Verna e Marco Camagni attualmente «ospiti» nel carcere militare di Peschiera del Garda. Ai due giovani obiettori è stata inflitta una pena di un anno senza condizionale.
Marco Verna nella vita civile assiste gli handicappati, ha vent’anni, risiede a Firenze. Presenta regolarmente la domanda di obiezione, che gli viene rifiutata. Marco è colpevole di aver occupato una casa a Firenze parecchi anni prima, dunque secondo le autorità militari non ha diritto all’obiezione di coscienza. Neppure le autorità civili riescono a mettersi d’accordo sul suo caso: il Tar gli rifiuta la sospensiva dalla leva mentre il Consiglio di stato accetta il ricorso di Marco Verna quando ormai è troppo tardi: Marco è già rinchiuso nelle galere militari. Come in tutti questi casi, i guai per Marco sono iniziati quando il postino gli ha consegnato la fatidica cartolina-precetto: destinazione Casale Monferrato. Verna non si presenta e viene accusato di «mancanza alla chiamata». Visto il rifiuto del Tar, il 10 marzo 1984 Marco Verna si consegna ai carabinieri di Firenze, per poi essere trasferito a Torino. Gli viene riservato un trattamento speciale: a differenza di quasi tutti i casi precedenti Marco Verna non beneficia della libertà provvisoria. Viene processato per direttissima il 4 aprile dal tribunale di Torino che gli infligge la pena di un anno senza condizionale.
La storia di Marco Camagni è anch’essa piena di «incidenti di percorso» non proprio divertenti. Dopo il solito rifiuto della prima domanda, anche Marco Camagni si è consegnato ai carabinieri. Quando in carcere ha fatto la seconda domanda di obiezione dopo poco tempo ha ottenuto la libertà provvisoria. La boccata d’ossigeno non è durata molto: nella sua abitazione milanese, dopo qualche mese Marco Camagni riceve la notifica del rifiuto della seconda domanda. Non passa molto tempo e viene convocato telefonicamente dal distretto di Milano: «Dobbiamo comunicarti alcune cose», dice la voce al telefono. Si tratta di una comunicazione del tutto particolare: l’aut-aut è inequivocabile: «O ti decidi a iniziare il servizio militare o ti arrestiamo». Dopo il no secco pronunciato per l’ennesima volta, per due giorni Marco scompare letteralmente, nessuno sa più dove sia. Viene processato e condannato a un anno di carcere a Peschiera del Garda senza avere la possibilità di avvisare i genitori e il suo legale. Solo quando giungerà all’istituto di pena si saprà del mini sequestro subito da Marco Camagni.
Coloro che «obiettano» e in più vogliono manifestare il loro pacifismo al campo di Comiso sono da considerare doppiamente pericolosi. È il caso di Renato Pomari, segretario nazionale della Loc. Già in servizio civile presso l’Opera Don Calabria a Milano, Pomari il 5 maggio 1983 scrive una lettera al ministero della difesa nella quale chiede di essere distaccato al campo di pace di Comiso. Il ministero non risponde. L’8 luglio scende a Comiso, al campo Imac. Il 10 settembre la procura di Torino emette nei suoi confronti un mandato di cattura per diserzione. «Il 3 novembre – racconta Renato Pomari – mi sono consegnato ai carabinieri a Roma.
Tra le centinaia di storie di obiettori e pacifisti vale la pena di ricordare quella di Alfonso Navarra, che ha la sfortuna di abitare a pochi passi dai «missili americani». Inizia le sue peripezie il 4 agosto 1983, quando entra nel campo di Comiso con 11 membri della Lega per il disarmo unilaterale: il «reato di pacifismo» viene punito con l’estradizione per i pacifisti straniera e con il foglio di via per gli italiani. Quando va male, c’è la galera. Alfonso Navarra viene incarcerato per una settimana, poi gli viene concessa la libertà provvisoria. Alfonso è ostinato e rifiuta di stare in libertà provvisoria nel suo paese natale. Questa sua ostinazione gli costa 40 giorni di carcere.
Quando esce dal carcere firma una sorta di compromesso con il giudice: accetta di allontanarsi temporaneamente ma promette di tornare nella sua città. Dopo una conferenza stampa alla camera dei deputati alla presenza dei parlamentari impegnati nella battaglia contro i missili, il 20 maggio Alfonso Navarra torna a Comiso mentre le auto della Digos scorazzano per il paese alla ricerca dell’ostinato pacifista. Quando Alfonso si presenta alla caserma del carabinieri fa di tutto per farsi arrestare, ma le autorità militari, per paura che questo diventi un caso nazionale, si rifiutano di arrestarlo. Non è un caso di «gentilezza»: dopo un mese, quando il clima di scontro si è sopito, Navarra viene arrestato per affissione abusiva di manifesti. Viene condannato a 12 giorni di carcere ma probabilmente rimarrà in galera sei mesi, il periodo di carcerazione preventiva.
Bruno Perini
visualizza in PDF: Il manifesto 05-07-1984