Il servizio civile scelta di democrazia

Il Popolo, venerdì 12 dicembre 1986

 

La Caritas chiama a raccolta gli obiettori di coscienza e dà appuntamento domattina a Milano, nell’aula magna dell’Università cattolica, ai quattro grandi mondi associativi: Azione cattolica, Acli, Agesci, Comunione e liberazione. Il convegno si tiene prima del previsto e subito a livello senza il passaggio attraverso incontri regionali.

Il perché di tanta fretta si intuisce, basta sfogliare i giornali delle ultime settimane: la polemica infuria, sull’obiezione di coscienza. Bislacche circolari, ispezioni, professioni di libertà e tolleranza clamorosamente contraddette dai fatti. C’è una legge in itinere,e proprio in questi giorni si è pervenuti a un testo unico, in comitato ristretto, presso la commissione difesa della Camera.

La Caritas Italiana, l’ente con il maggior numero di obiettori in servizio: milleottocento, e che ne ha «sfornati» qualcosa come undicimila nell’ultimo decennio, ha proposto perciò all’intero mondo cattolico giovanile una messa a punto corale sul problema, in modo da imporre all’istituzione decisioni, rapide ed equilibrate. Troppo tempo è passato nell’incertezza delle norme, e le lacune hanno generato conflitti. Incomprensioni, repressione anche. Don Giuseppe Pasini, vice presidente della Caritas e uomo di punta per le questioni connesse all’obiezione, ci parla dell’incontro di domani e non sembra affatto preoccupato delle possibili polemiche. Non nasconde che la temperatura è alta, anche sul versante politico, e sa che alla Cattolica potranno risuonare parole dure, anche accuse. Ma la reciproca comprensione deve passare dalla chiarezza e dalla franchezza, e questo non è più il momento del rinvii.

Ecco dunque il primo obiettivo del convegno, organizzato sulla scorta di quello del giugno ’82: fornire l’immagine il più possibile autentica dell’obiettore di coscienza in servizio civile, descrivendo cosa queste servizio significa, concretamente rivolto alle fasce deboli della popolazione: anziani, handicappati, minori, immigrati, tossicodipendenti. La sintonia tra il servizio. civile e il principio dell’obiezione di coscienza è profonda, poiché l’obiezione è innanzitutto alla violenza, e i gesti che si compiono sono a favore di quanti subiscono violenza.

Altro obiettivo, per don Pasini, è quello di mettere a fuoco. la collocazione sociale e giuridica della figura dell’obiettore, in seguito agli ultimi pronunciamenti della corte costituzionale e del consiglio di stato; il suo posto è preciso e sta dentro il perimetro della carta fondamentale. Il servizio civile viene ad assumere il significato di un autentico servizio di difesa della patria, realizzato con una forma atipica rispetto a quello militare.

E’ un punto importante, questo, data la consapevolezza ancora incerta dell’opinione pubblica, che pensa all’obiettore come a un disertore legalizzato.

La nuova legge dovrà essere, perciò, assolutamente chiara nel fare propri i contenuti che l’esperienza degli obiettori ha maturato in questi anni, contenuti di rispetto della persona, degli stessi enti convenzionati, nonché del pluralismo sociale. Accanto al servizio nazionale cresce infatti l’esigenza di offrire pari opportunità agli enti che fanno riferimento alle forze sociali di diversa matrice e ispirazione.

Il convegno, dunque, come occasione di spinta alla chiarificazione dei contenuti della nuova legge, ma anche come occasione di pressione perché i tempi di approvazione siano realmente brevi. Rispetto agli ultimi avvenimenti, don Pasini tiene a lanciare un messaggio distensivo: «E’ doveroso – osserva – esprimere un atteggiamento di soddisfazione per il colloquio che il ministro Spadolini ha richiesto agli enti convenzionati, e anche di gratitudine per il tono franco e di apertura che ha voluto dare a questo incontro, in modo particolare per la collaborazione che si è reso disponibile a portare avanti con gli enti, in questa fase da lui stesso considerata di transizione».

Che fare allora, in questa «fase di transizione»? Don Pasini spiega punto per punto le esigenze prospettate al ministro della Difesa. Primo: lo strumento più idoneo di collaborazione e attraverso il quale l’ente si sente maggiormente tutelato è tuttora la convenzione, che ha un carattere giuridico di contratto, vincolante per le due parti, entro i confini del diritto privato ma nel pieno rispetto della natura e dell’autorità dello Stato. Secondo: il termine dei sei mesi fissato dalla legge già in vigore deve essere considerato perentorio e risultare comprensivo del “riconoscimento” dell’obiezione come anche della “assegnazione”. Attualmente, per gli ultimi obiettori assegnati alla Caritas, si registra un ritardo, rispetto alla domanda, di complessivi quindici-sedici mesi.

Terzo: nella verifica dei posti disponibili in un singolo ente è necessario tenere conto degli obiettori prossimi al congedo, assicurando la continuità del servizio, senza lasciare vuoti ingiustificati. Quarto: in tempi brevi va avviata la redistribuzione (così l’ha chiamata Spadolini) degli obiettori già precettati d’autorità presso altri enti, rispetto a quelli che li avevano richiesti, studiando singolarmente i casi e sentite le parti interessate. In questo momento vi sono infatti duecentottanta obiettori che avevano contattato la Caritas e che sono stati dirottati altrove: deve essere possibile la reintegrazione.

Quinto: va riaffermata la possibilità di ricusazione motivata di obiettori non richiesti (diversamente da quanto prevede la circolare di giugno). Sesto: vanno accolte tutte le richieste nominali formulate dagli enti convenzionati. Settimo: occorre riconoscere il diritto degli enti a determinare distacchi temporali, quando essi siano omologhi al programma di lavoro. Seguire un handicappato, ad esempio, può significare anche accompagnarlo in un luogo di cura; questa elasticità deve essere possibile, certo previo avvertimento del distretto. Ottavo: per il vitto e l’alloggio è indispensabile riprendere al più presto la circolare dell’85, ed è anche opportuno consegnare direttamente nelle mani dell’obiettore la quota in denaro. Ciò per sgomberare il campo da ombre e sospetti, cha hanno indotto taluno a puntare il dito accusatore sugli enti convenzionati, i quali sarebbero attratti dal mondo degli obiettori perché «un buon affare» di miliardi.

Questo l’elenco delle questioni poste con forza dalla Caritas a Spadolini: questioni concrete, accompagnate da precise e praticabili ipotesi di soluzione, segno di un impegno della Caritas non solo di bandiera, ma profondamente radicato nel «vissuto» del servizio civile oggi nel nostro Paese. Ma torniamo alla nuova e occupiamoci delle scelte di prospettive, essendo le otto elencate sin qui richieste giustamente avanzate per l’immediato.

Intanto i tempi tecnici per entrare in servizio un obiettore vanno drasticamente ridotti, nella nuova normativa. Anche il testo più recente è lacunoso da questo punto di vista, mentre è un fatto che, ora come ora la situazione è intollerabile; ricorda don Pasini che sono fissati centoventi giorni per la dichiarazione di obiezione di coscienza, sei mesi per l’accettazione della domanda, e poi ancora cinque mesi per la destinazione all’ente convenzionato. Nell’ipotesi, che la legge ammette, di una scelta dell’ente da parte dello stesso obiettore, invitato a indicarlo già all’atto della domanda, francamente non si vede ragione perché passino addirittura cinque mesi per la conclusione dell’iter.

Occorre poi instaurare il principio dell’automatismo nell’entrata in servizio allo scadere dei sei mesi sbarrando così la strada ai contenziosi con gli enti, da parte della presidenza del Consiglio o comunque dell’organo che regolerà la materia. I sei mesi debbono insomma rimanere tassativi, e comprendere tutte le fasi, dall’«accettazione» alla «destinazione» del giovane. Tra le proposte che avanza don Pasini, una è di particolare rilevanza sotto il profilo sociale: istituire una «consulta nazionale dell’obiezione di coscienza», quale luogo di partecipazione democratica comprendente rappresentanti di obiettori, di enti convenzionati e di forze sociali, tutto questo nel pieno rispetto della superiore autorità dello Stato. Non si tratta di un organismo volto a sottrarre legittimità alle istituzioni, ma di un luogo di ascolto, di consulenza in cui le voci che vengono dal sociale siano davvero ascoltate, e l’autorità stessa ne possa tenere conto.

«Molte liti e incomprensioni nate in questi anni – osserva don Pasini – sono nate proprio perché non hanno voluto ascoltarci, tanto è vero che sulla famosa circolare di giugno, noi avevamo detto che era sbagliata, per mille motivi; ma la reazione è stata che “la circolare non si tocca”; dopo diversi mesi, guarda caso, si trovano costretti a ritirarla. Se ci fosse stato un luogo in cui dibattere di questi problemi certi sbagli si sarebbero evitati».

Infine una notazione che riguarda una nuova cultura e una nuova mentalità da far crescere in tutti: Il servizio civile è il servizio civile degli obiettori di coscienza; l’obiezione ha in sé, intatti, un alto valore pedagogico, di «segno» rispetto al grande problema della pace e del disarmo tra le nazioni, in un contesto di potenziamento degli organismi internazionali, di realizzazione della giustizia verso i popoli più poveri e del dialogo fra tutti gli Stati.

L’attenzione e il rispetto dichiarati verso l’obiezione e verso il servizio sostitutivo appaiono dunque come premessa ad un vero e proprio servizio «alternativo», non solo «sostitutivo», come è considerato tuttora. «Alternativo in quanto opportunità di scelta per tutti i giovani, uomini e donne, tra il servizio armato e il servizio sociale a favore delle fasce più deboli, quale contributo allo sviluppo democratico della società e quale segno di responsabilità dei giovani a un destino comune del nostre Paese, dove proprio gli ultimi siano in grado di recuperare dignità e uguaglianza.

Don Pasini lancia a questo punto una sfida: «Nell’ipotesi in cui il servizio civile viene equiparato al servizio militare, perché non pensare a un servizio volontario delle stesse ragazze, o di altri ragazzi non obbligati al servizio di leva? In prospettiva, rispetto alla caduta di ideali che si avverte tra i giovani, questo potrebbe essere un forte contributo verso una fase storica del Paese in cui le nuove generazioni si sentano davvero costruttrici e responsabili del destino della patria. Se noi credenti, su questo terreno, lavorassimo a dovere faremmo davvero un servizio alla società. Dal ’79 stiamo portando avanti il discorso dell’anno di volontariato sociale, e in esso sono impegnate centinaia e centinaia di ragazzi e decine di diocesi».

Nel recente convegno di Milano sulla carità, l’anno di volontariato sociale è stato proposto anche dal cardinale Martini come una delle espressioni concrete della volontà della comunità ecclesiale di essere servizio all’uomo.

 

Marco Giudici

 

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