La Stampa, mercoledì 28 luglio 1971
Il Senato ha approvato stamani la legge per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Hanno votato in favore democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali; contro, i comunisti, i socialproletari e gli indipendenti di sinistra, perché insoddisfatti del provvedimento, ritenuto insufficiente e autoritario, e i missini, i quali rifiutano invece il principio dell’obiezione di coscienza. La legge dovrà ora ricevere la sanzione definitiva da parte della Camera.
Il delicato problema della obiezione di coscienza, di cui tanto si è parlato in questi ultimi anni, in seguito a clamorosi episodi, e sul quale si sono innestate polemiche non sempre disinteressate, appare così avviato a soluzione. Il cammino della legge non è stato facile. La questione era stata sollevata in Parlamento sin dal 1947, all’epoca della Assemblea Costituente, e riproposta in tutte le legislature successive, ma senza successo. In quella attuale tre senatori avevano firmato altrettante proposte di legge sullo scottante argomento: Albarello (psiup), Anderlini (sinistra indipendente) e Marcora (de). La commissione Difesa le ha discusse a lungo, riuscendo alla fine a redigere un testo unico che oggi è stato approvato dall’assemblea con alcune modifiche proposte per la maggior parte dal governo.
Gli obiettori di coscienza potranno presentare entro il 31 dicembre dell’anno prece dente la chiamata di leva o l’effettivo inizio del servizio militare una domanda per esserne esonerati. Sulla richiesta deciderà entro sei mesi il ministro della Difesa, sentito il parere di una commissione, composta in prevalenza da civili (un magistrato di Cassazione, un generale o un ammiraglio, un docente universitario di discipline morali, un rappresentante dell’avvocatura dello Stato, un esperto di psicologia).
Se la domanda è accolta, l’obiettore dovrà prestare servizio militare «non armato» oppure optare per un servizio sostitutivo civile in attesa che venga istituito il servizio civile nazionale, di cui i liberali hanno sollecitato la creazione. I due servizi dureranno comunque otto mesi più del servizio militare di leva.
Agli obiettori di coscienza sarà in permanenza vietato di tenere e far uso di armi e munizioni, anche se appassionati cacciatori o pressati da esigenze personali di difesa. In tempo di guerra potranno essere assegnati a servizi non armati. Con un emendamento del governo, accolto dall’assemblea, è stato stabilito che il giovane che rifiuti di prestare servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile, sarà punito, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da due a quattro anni, per evitare che l’obiezione tragga incentivi dalla mancanza di qualsiasi misura punitiva.
Una volta scontata la pena, sarà dichiarata per l’obiettore «l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e l’incapacità perpetua dì appartenere alle forze armate».
Una norma transitoria riguarda gli obiettori di coscienza già denunciati ai tribunali militari (sono circa 120 i giovani attualmente in carcere per essersi rifiutati di fare il soldato): essi potranno avvalersi dell’esonero, facendo domanda entro due mesi dall’entrata in vigore della legge.
In merito alle critiche di « arretratezza » e di eccessiva severità rispetto alle legislazioni di altri Paesi, espresse dai gruppi di sinistra, il ministro della Difesa, Tanassi, aveva dichiarato, concludendo il dibattito sul provvedimento, che « ogni Paese ha una sua storia ed una sua tradizione ». Per Tanassi si tratta, al contrario, di una buona legge, che ha trovato il governo consenziente.
g. fr.
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