Il business dell’obiettore

Epoca, 21 novembre 1986

 

Prima è toccato a enti come ‘quello per «lo sviluppo e la protezione della carne di coniglio». Poi a strane associazioni come «la scopa meravigliosa», un’impresa di pulizie. Alcuni obiettori di coscienza svolgevano lì il loro servizio civile alternativo. Depennarli dal lungo elenco degli enti, quasi 1400, convenzionati con il ministero della Difesa per accogliere gli obiettori non è stato davvero difficile.

La scure, e l’impresa non sarà altrettanto facile, si sta abbattendo anche su alcuni santuari, considerati sino a questo momento al di sopra di ogni sospetto. Le prime ispezioni ministeriali hanno riguardato le sedi dell’Arci. Ispezioni improvvise e a tappeto. Con risultati inquietanti: nelle 70 sedi raggiunte dagli ispettori, era al lavoro soltanto il 60 per cento dei 180 obiettori che il ministero aveva assegnato. Alcune sedi sono risultate chiuse, per tutta la giornata. A Bologna la sede era aperta, ma dei sette obiettori in organico non c’era nessuno. A Roma, soltanto la metà.

Ma il caso più clamoroso è esploso a Pavia. Un giovane obiettore si è rivolto al Distretto militare per ottenere dall’Arci il pagamento di quanto gli spetta per legge. Non solo la paga riservata ai giovani sotto le armi, ma anche il corrispettivo che lo Stato versa agli enti convenzionati per vitto, alloggio, vestiario e spese varie dei singoli obiettori: circa 6 milioni, per i 20 mesi nei quali dovrebbe essere svolto il servizio civile. Se gli enti non provvedono direttamente a queste spese, il corrispettivo dovrebbe essere versato, appunto, agli obiettori. Nel caso del ragazzo di Pavia non è successo, ed è probabile che della questione venga investita la magistratura.

Il caso di Pavia è tutt’altro che isolato. Conferma Roberto Digiovanpaolo, leader emergente dei giovani democristiani: «Dal 31 ottobre lavoro come obiettore presso “Il centro giovanile Vigna Pia”, gestito dalla congregazione della Sacra famiglia di Bergamo. Ci siamo subito messi d’accordo: a me la paga del soldato (circa 2 milioni per venti mesi, ndr), a loro il resto (4 milioni, ndr)». Piccole cifre, se considerate singolarmente. Ma i contributi che lo Stato versa agli enti hanno globalmente dimensioni più apprezzabili: l’Arci incassa 1 miliardo e duecento milioni, la Charitas quasi sei miliardi e mezzo. Centinaia di milioni vanno ad associazioni come la Lipu (lega per la protezione degli uccelli), WWF, Italia Nostra, organizzazioni legate ai padri salesiani, e a una miriade di enti sparsi in tutto il Paese, con una fortissima concentrazione nel Nord e in Emilia Romagna, dove il fenomeno dell’obiezione è molto più rilevante che nel Mezzogiorno e nelle isole. Quasi 35 miliardi, un terzo del finanziamento pubblico ai partiti.

Per correggere queste anomalie, il 5 giugno scorso è stata emanata dal ministero una circolare che obbliga, dal 1° agosto, tutti gli enti convenzionati a rilasciare singole quietanze firmate dagli obiettori dalle quali risulti la correttezza nella gestione dei fondi. La stessa circolare, che è al centro di violente polemiche, stabilisce che dal 1° luglio dell’anno prossimo gli enti dovranno disporre di strutture idonee per consentire agli obiettori di usufruire di vitto e alloggio, con una deroga per gli enti convenzionati in grado di ospitare un numero di obiettori non superiore alle cinque unità. Un tentativo di normalizzare una situazione che era diventata insostenibile. Sino a luglio, infatti, i Distretti militari sborsavano il denaro dello Stato sulla base delle semplici liste di presenza degli enti convenzionati.

Il provvedimento renderà più dura la vita a questi enti ma anche agli obiettori? «Lo abbiamo preso per tutelare i veri obiettori», replica secco Vittorio Olcese, il sottosegretario alla Difesa che ha avviato questa opera di moralizzazione. E aggiunge: «La legge sull’obiezione di coscienza era il classico esempio di come un provvedimento nato con le migliori intenzioni possa essere tradito da una cattiva gestione».

La confusa contabilità, le sedi chiuse, le assenze ingiustificate, sono soltanto alcuni aspetti, infatti, dei problemi suscitati dalla difficoltà di applicare questa legge, la 772, varata su proposta di Giovanni Marcora nel 1972. Basti pensare che nel ’79 fu emanata una circolare per stabilire che se la domanda di obiezione non fosse stata accolta entro 26 mesi, sarebbe scattato il congedo automatico: niente servizio alternativo, e niente servizio militare.

Abolita nell’84, censurata dalla Corte costituzionale, quella circolare aveva provocato un boom di richieste, sulla base di un ragionamento elementare: se la domanda viene accolta, faccio l’obiettore, e se non viene accolta in tempi utili tanto meglio …

Un boom di richieste che ha provocato, abolita appunto la circolare, un accumulo di circa 12 mila pratiche arretrate, un lavoro enorme per l’ufficio leva, smaltito con grande fatica, e con risultati per certi versi sorprendenti: dopo il boom dei primi anni ’80, le domande di obiezione sono drasticamente calate: quest’anno, sino a metà settembre, ne sono arrivate soltanto 1677, la previsione è che nell’86 gli obiettori in servizio saranno meno di 6 mila rispetto ai 9000 dell’84 e ai 7430 dell’85. E per l’87 le previsioni sono ancora più caute: se le domande non aumenteranno, si scenderà sotto quota 5 mila.

Come può essere spiegato questo fenomeno? «Si spiega, si spiega», risponde Olcese. «È diventato molto difficile per gli enti reclutare gli obiettori, perché devono attenersi a disposizioni precise, e non possono più offrire la garanzia certa che l’obiettore svolgerà il suo servizio in modo elastico, o non lo svolgerà affatto. E non c’è più la garanzia che lo potrà fare a due passi da casa: ormai è chiaro, sulla base dell’esperienza, che soltanto il 70 per cento degli obiettori ha la possibilità di non essere spostato dal luogo di residenza. L’introduzione di norme obiettive rende infatti impossibile soddisfare tutte le richieste in questo senso che vengono avanzate. Un trenta per cento di obiettori dovrà rassegnarsi, come del resto succede per i loro coetanei, i 280 mila che servono la patria sotto le armi.»

 

Maurizio Marchesi

 

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