Gli obiettori? Li abbiamo messi in regola

Europeo, 27 settembre 1986

 

Il direttore de «Il Giornale» Indro Montanelli li accusa di essere «troppo delicati». Loro ribattono di pagare già un prezzo alto per la propria scelta (il servizio civile dura otto mesi più di quello militare), e protestano per la durezza con la quale il ministero della Difesa li tratta da qualche mese a questa parte. Sono gli obiettori di coscienza: quelli che non vogliono fare il militare, per motivi religiosi, politici, o semplicemente per sfuggire alla noia della naja.

Ce ne sono 7424 attualmente in servizio, e il loro numero cresce ogni anno: erano appena 200 nel 1972, anno in cui l’obiezione fu legalizzata, sono stati 45 mila dal 1980 ad oggi. Rappresentano una piccola parte del mezzo milione di diciottenni che ogni anno arriva all’appuntamento con la leva, e dei 300 mila non esonerati o raccomandati che poi finiscono effettivamente sotto le armi. Sono i più informati, i più istruiti: vengono per il 77 per cento dal Nord, per il 17 per cento dal Centro e solo per il 6 per cento dal Sud e dalle isole. Ma anche per loro da qualche tempo la vita non è facile.

Eccoli qui, nella povera sede della Loc (Lega obiettori di coscienza) in uno scantinato a Milano, quattro dei nove giovani obiettori che hanno deciso di ribellarsi a quelli che considerano i loro diritti calpestati. Il ministero infatti, invertendo una consuetudine consolidata, ha deciso d’autorità la loro destinazione durante il servizio civile, senza tener conto delle loro richieste né di quelle degli enti che avevano fatto domanda nominativa per averli. Sono ormai moltissimi i giovani «precettati d’ufficio» e inviati spesso a centinaia di chilometri di distanza da casa: due su dieci secondo il ministero, tre secondo l’Arci, addirittura sette su dieci per la Loc.

Angelo Viti ha 22 anni e viene da Scanzorosciate (Bergamo). Aveva frequentato per tre mesi un corso di formazione per obiettori organizzato a Brescia dal Mir, un’associazione internazionale di cristiani ecumenici. Poi però il ministero lo ha fatto aspettare per 18 mesi (mentre fra la presentazione della domanda e l’inizio del servizio per legge non dovrebbero passarne più di sei), e alla fine lo ha spedito presso il comune di Gardone Val Trompia. Così, ironia della sorte, l’antimilitarista Angelo si è trovato proprio nel covo degli armieri e dei cacciatori. Ma il comune di Gardone, a maggioranza democristiana, gli ha dato inopinatamente ragione. Anzi, il consiglio comunale si è messo a dar bacchettate sulle mani dei responsabili del ministero. «Dovete rispettare le richieste nominative, così com’è stabilito dalla convenzione che abbiamo firmato», intima un ordine del giorno approvato qualche settimana fa. Nel frattempo Angelo Viti, con il consenso del comune di Gardone, ha deciso autonomamente di continuare il suo servizio civile presso il Mir di Brescia, dove si è «autotrasferito» anche Massimo Cerani di Flero (Brescia).

Un altro caso è quello di Mauro Capurro, 27 anni, di Santa Margherita Ligure (Genova), laureato in agraria. Neanche lui è uno di quelli che i militari accusano di «fare il servizio civile sotto casa, andando a mangiare e dormire da mamma», cioè di essere un imboscato. Per dimostrarlo aveva deciso di andare a lavorare venti mesi presso l’Acra (Associazione di cooperazione rurale in Africa) a Milano. Anche lui aveva partecipato a un corso di formazione specifico sullo sviluppo agrario nel Terzo mondo, ma poi è stato distaccato al comune di Venegono Superiore (Varese) a fare l’impiegato. Destinazione rifiutata, e diffida del ministero a non disobbedire agli ordini. Ma Mauro continua a stare a Milano all’ Acra ad aiutare i volontari che partono per i paesi sottosviluppati. «Mi sembra un modo molto concreto di costruire la pace, visto che la fame provoca tensioni internazionali», dice.

Cosa rischiano adesso questi «disertori» del servizio civile? Non molto, in verità, perché in loro aiuto è arrivata una sentenza della Corte Costituzionale che proibisce ai tribunali militari di giudicare gli obiettori. È un primo passo verso quella smilitarizzazione del servizio civile invocata da anni dai pacifisti. Così adesso i distretti militari dai quali dipendono gli obiettori non possono prendere più provvedimenti nei loro confronti: possono solo denunciarli alla giustizia civile, che ha i tempi che ha.

Ma questa piccola guerra sul servizio civile non vede schierati su fronti contrapposti soltanto i militari e gli obiettori che sfuggono alloro controllo. Ci sono anche i 3099 enti, pubblici e privati, che impiegano gli obiettori e che sono furibondi per il nuovo corso del ministero. «Abbiamo bisogno di gente motivata e preparata, invece ci mandano ragazzi a casaccio. Anzi, ce li mandavano, perché adesso è da parecchi mesi che, nonostante le nostre numerose sollecitazioni, non vediamo più nessuno», protesta Roberto Brambilla del Wwf. «In Lombardia siamo scesi da 50 obiettori a 20, e dei 16 che avevamo richiesto nominativamente ce ne hanno mandati solo due».

Antonio Pappalardo, ventiduenne di Catania, è stato particolarmente sfortunato: lo avevano mandato alla biblioteca arcivescovile «Annibale De Leo» di Brindisi, e quando ha chiesto di essere trasferito al Wwf della propria città lo hanno spedito alle «Istituzioni riunite di cura e riposo» di Macerata. Anche lui ha trasgredito l’ordine ed è tornato a Catania.

L’ente che occupa di gran lunga il numero più alto di obiettori (1500) è la Caritas. «Respingiamo formalmente questa assegnazione a caso degli obiettori», dichiara il responsabile nazionale Guglielmo Rosati, «anche se non abbiamo nulla in contrario a far trasferire i nostri giovani da una città all’altra: fa parte della nostra cultura religiosa, quello dell’esodo è un segno ecclesiale di servizio per la comunità».

A complicare le cose per gli enti in giugno è arrivata una circolare che li obbliga a fornire a ciascun obiettore vitto e alloggio. Se non hanno posto devono mandarli in pensione, anche se abitano nella stessa città. Mai e poi mai in famiglia. «Ci vogliono trasformare in caserme», commenta ironico Licio Palazzini, responsabile nazionale dei 600 obiettori dell’Arci. Anzi, attualmente solo 250, perché centinaia di segnalazioni non sono state accolte. Anche l’Arci può esibire casi grotteschi: per esempio quelli di Alberto Celano e Giuseppe Dattilo, due giovani calabresi di Castrovillari e Lamezia Terme che, dopo essere stati regolarmente assegnati in marzo all’Arci di Paola (Cosenza), sono stati trasferiti d’ufficio al comune di Brescello in provincia di Reggio Emilia, dove il sindaco non sa bene cosa fargli fare. Così adesso in Calabria l’Arci, che ha posto per 25 obiettori, ne ha solo due.

«Noi non possiamo certo permetterci di dare un letto a 36 persone», dicono ad Amnesty International, dove sottolineano che, data la delicatezza dei compiti da svolgere, per loro la chiamata nominativa è indispensabile. A poter garantire vitto e alloggio ai propri obiettori saranno soltanto gli enti religiosi, che si appoggiano alle parrocchie, e quelli pubblici. Tutti gli altri, se rimarrà in vigore la circolare che disciplina perfino l’«indennità barbiere» e gli «effetti letterecci», verranno travolti dai compiti di fureria che il ministero vuole addossare a loro.

Il 25 giugno il ministro della Difesa Giovanni Spadolini, in un incontro con i responsabili degli enti, ha negato che ci siano ritardi nell’assegnazione degli obiettori. Pochi giorni dopo, però, gli enti gli hanno inviato interi elenchi di giovani che sono in lista d’attesa anche da anni. Al ministero negano che ci sia un indurimento del trattamento degli obiettori. «Abbiamo semplicemente incominciato a far ordine, perché prima nel 98 per cento dei casi il servizio civile veniva svolto vicino a casa», spiega Aldo Nocella, responsabile dell’ufficio Levadife. «Non faccio nomi, ma un comune in provincia di Firenze ci aveva chiesto venti obiettori, mentre la sua capacità era di dieci: è evidente che gli altri sarebbero rimasti a casa. E poi, dobbiamo sistemare una massa di giovani non richiesti da nessun ente». Sì, ma almeno quelli richiesti potreste accontentarli. «Certo, a patto che gli enti li facciano andare in un’ altra città. Cosa impedisce a uno che vuole fare assistenza ai tossicodipendenti di andare da Milano a Bologna?».

Sempre meglio che finire da Catania a Macerata. «Per il Sud abbiamo grossi problemi: in provincia di Avellino ci sono solo cinque posti di obiettore disponibili, a Caserta sei, a Potenza dieci, ad Agrigento 14. Non sappiamo dove sistemare gli obiettori siciliani, che sono molto aumentati negli ultimi anni. Al contrario, solo nel distretto di Modena e Reggio Emilia ci sono ben 1062 posti per obiettori».

Ermanno Cova di Somma Lombardo (Varese),uno dei nove «autotrasferiti», adesso svolge il servizio alla Cisl di Milano. Lo avevano mandato in una casa di riposo a Besana Brianza, dove si è rifiutato di lavorare perché avrebbe dovuto sostituire personale previsto dall’organico. La legge non proibisce di colmare vuoti di personale con gli obiettori? «Certo», risponde Nocella, «ma spesso gli enti approfittano degli obiettori. Per questo adesso vigiliamo di più. Per esempio, lo sanno gli obiettori che quando lavorano di notte il giorno dopo hanno diritto alla licenza?».

«Mi pare strano», rincara Palazzini dell’ Arci, «che, proprio mentre si discute di regionalizzare il servizio militare, si spediscano gli obiettori da una parte all’altra d’Italia. Noi vogliamo una vita migliore per entrambi, soldati e obiettori». E sia ai soldati di leva che agli obiettori servire la patria a centinaia di chilometri da casa sembra un sacrificio inutile.

 

Adriano Botta

 

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