Adista n. 83, 25 novembre 2000
Grande è sotto il cielo l’esultanza per la “grande riforma” che il Senato ha approvato definitivamente martedì 24 ottobre: l’abolizione (spacciata per “sospensione”) della leva obbligatoria e la progressiva creazione di un esercito interamente professionale e volontario. E sinistra e destra si contendono il primato di tale esultanza!
Tutto era cominciato nel settembre del 1999, allorquando il primo governo D’Alema approvava un disegno di legge volto a professionalizzare le nostre Forze armate. Infatti, mentre il governo Prodi (coerentemente con il programma dell’Ulivo) aveva scelto la via del modello “misto” (metà volontari metà coscritti), i due governi D’Alema e l’attuale hanno puntato, soprattutto dopo la guerra nel Kossovo, sull’abolizione della leva.
Conviene sgombrare subito il campo da un paio di possibili equivoci: nessuno tra i pacifisti ha mai negato che il servizio militare e, più in generale, le Forze armate avessero bisogno di una profonda riforma. Nessuno tra gli obiettori e gli enti convenzionati ha mai sostenuto l’esigenza di mantenere la leva obbligatoria per poter continuare a obiettare e a gestire il servizio civile.
Dunque, tutti d’accordo con la riforma della leva approvata dal Parlamento? L’ampia maggioranza che ha detto sì all’esercito professionale non deve trarre in inganno sui contenuti di questa legge.
Alcuni nodi problematici. Se la motivazione più forte addotta dai sostenitori dell’esercito professionale è che ormai le nostre truppe sono quasi esclusivamente dedicate alle “missioni di pace”, non si capisce perché l’Italia abbia bisogno di un esercito di ben 190.000 uomini. Infatti, ammettendo che l’Italia possa contribuire alle missioni internazionali cui parteciperà (o al futuro esercito europeo) con un contingente di 20.000 soldati (oggi ce ne sono meno di 10.000 in giro per il mondo) e considerando le riserve e le sostituzioni, anche volendo quadruplicare tale numero, si arriva comunque a 120.000 uomini, molti meno di quanti il Parlamento ha invece previsto.
E poi i costi. Quanto costerà il nuovo esercito? La legge prevede una spesa di circa 1.000 miliardi nei primi tre anni. Ma, e i politici sembrano averlo dimenticato, questa cifra servirà solo per reclutare (e stipendiare) un numero maggiore di volontari, non certo per i costi che l’ammodernamento dell’esercito comporterà. Il caso della nuova portaerei di cui la marina italiana si sta dotando e che costerà circa 4.000 miliardi è emblematico. E che dire dei servizi che non potranno essere più effettuati a costo zero e che invece andranno appaltati all’esterno (“e ora chi pulirà i cessi?” si era chiesto l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato)? Infine, il dopo-servizio. Per rendere più appetibile la carriera militare, si prevede di assicurare un posto fisso nelle amministrazioni pubbliche a quanti avranno svolto la ferma militare volontaria. E così, in barba ai principi di pari diritti per l’accesso al mondo del lavoro, ci ritroveremo un ex-Rambo con la divisa da vigile urbano’.
Ma il tema che più lascia perplessi è quello del servizio civile. Che fine farà con l’abolizione della leva? Non sembra che i politici si siano posti una tale domanda. Se l’Italia vuole dotarsi di un nuovo Modello di difesa, e posto che ormai il concetto di pari dignità tra difesa militare e civile è stato accettato anche dalla giurisprudenza, ci saremmo aspettati che la riforma avesse affrontato parallelamente i due comparti, quello del servizio militare e quello del servizio civile degli obiettori di coscienza, come d’altronde era stato promesso dai nostri governanti. Con la creazione parallela di un servizio civile volontario accanto a quello militare, entrambi abilitati a “far la pace” e adeguatamente remunerati e incentivati.
Ancora una volta, invece, gli obiettori sono beffati dallo “strabismo” del nostro Parlamento. E dire che poteva essere l’occasione opportuna perché l’Italia desse il suo contributo a quanto si sta muovendo in giro per il mondo sulla delicata tematica dell’uso degli strumenti non militari per risolvere e prevenire i conflitti. Basta leggere il rapporto sul peace-keeping presentato da Kofi Annan nel settembre scorso oppure seguire quanto avviene a livello europeo, dalla risoluzione del Parlamento di Strasburgo della primavera ’99 sul corpo civile di pace, agli ultimi vertici europei che stanno concretizzando questa proposta.
E invece la riforma del servizio civile dorme sonni profondi e i fondi destinati agli obiettori sono sempre risicati’
Che cosa succederà nell’immediato futuro? È molto probabile che la fine dell’esercito di leva avvenga molto prima del 2006: perché mai, infatti, un giovane dovrebbe accettare di andare a svolgere un servizio militare che gli hanno detto essere inutile e in via di smobilitazione? È altrettanto probabile, dunque, che sempre più giovani sceglieranno il servizio civile, visto che la maggior parte (ormai uno su due, ma nel 2001 si assisterà sicuramente al “sorpasso”) che scelgono il servizio civile anziché quello militare lo fanno perché ritengono quello più utile di questo.
Senza catastrofismi, quindi, i giovani da reclutare saranno sempre meno e, dall’altro lato, quelli da avviare al servizio civile saranno sempre più, col rischio che molti di essi saranno comunque dispensati e lasciati a casa per mancanza di fondi. A meno che il Governo e il Parlamento non si accorgano del servizio civile.
Diego Cipriani
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