Consiglio di Stato – Parere del 25 marzo 2003

Adunanza della Sezione terza del 25 marzo 2003

N° Sezione 964/03

Oggetto

Ministero della difesa. Quesito in ordine alla legittimità del provvedimento di revoca, durante la prestazione del servizio civile, dello status di obiettore di coscienza.

 

La Sezione

 

Vista la relazione trasmessa con nota prot. n. LEV.1/0287, in data 18 febbraio 2003, con la quale il Ministero della difesa (Direzione generale leva – reclutamento obbligatorio – militarizzazione – mobilitazione civile e Corpi ausiliari) chiede il parere del Consiglio di Stato in ordine all’argomento indicato in oggetto;

Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore consigliere Pier Luigi Lodi;

Premesso:

L’Amministrazione referente, al fine di definire e coordinare i comportamenti da tenere con l’Ufficio nazionale servizio civile, competente, ai sensi della legge 8 luglio 1998, n. 230, al riconoscimento dello status di obiettore di coscienza, pone un quesito al Consiglio di Stato per la verifica della legittimità di un eventuale provvedimento di revoca del suddetto status, su richiesta dell’interessato, durante la prestazione del servizio civile.

In proposito viene sottolineato che ciò comporterebbe l’avvio al servizio armato del giovane, per l’eventuale completamento degli obblighi di leva, e il venir meno delle limitazioni previste dall’articolo 15, commi 6 e 7, della citata legge n. 230 del 1998 (divieto di detenzione, uso e commercializzazione di armi e materiali esplodenti, nonché divieto di partecipazione ai concorsi pubblici per l’arruolamento nelle Forze Armate e per qualsiasi altro impiego che comporti l’uso delle armi).

Tale problematica è stata portata all’attenzione della Avvocatura dello Stato, da parte del menzionato Ufficio nazionale servizio civile, in relazione a numerose richieste di chiarimenti provenienti dagli interessati.

L’Avvocatura generale dello Stato, con parere espresso in data 25 ottobre 2002, si è dichiarata favorevole alla possibilità di accoglimento della richiesta di rinuncia da parte degli obiettori in considerazione del fatto che, a suo giudizio, non appaiono sussistere ostacoli alla luce della vigente normativa e delle disposizioni sino ad oggi impartite.

L’Amministrazione riferente, invece, ritiene che sussistano seri ostacoli ad un’interpretazione in tal senso, costituiti, in primo luogo, dall’articolo 52, secondo comma, della Costituzione che ha inteso prevedere una apposita “riserva di legge” per la disciplina dei limiti e delle modalità di espletamento del servizio militare di leva. In tale ottica, una lettura della norma che consentisse procedure che vadano al di là del suo dato testuale risulterebbe, quindi, fuorviante.

D’altronde, la vigente normativa della legge numero 230 del 1998 non fa menzione di tale possibilità, prevista, invece, dall’articolo 8 del d.P.R. 28 novembre 1977, n. 1139, recante “Norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772”, che consentiva la rinuncia purché presentata entro e non oltre il decimo giorno successivo a quello di ricezione, da parte dell’interessato, della comunicazione di accoglimento della sua istanza di obiezione di coscienza.

La facoltà di rinunciare in qualunque momento allo status di obiettore si porrebbe, inoltre, in palese contraddizione con i divieti e le relative sanzioni penali che la vigente normativa pone in capo all’obiettore ammesso al servizio civile (articolo 15, commi 6 e 7 della legge numero 230 del 1998) evidentemente preordinati ad impedire il dilagare della obiezione di comodo e giustificati da una scelta di carattere definitivo e che, per tale motivo, deve essere ben ponderata.

Quanto, poi, alla considerazione che – così come è consentito dall’articolo 14 della legge in parola che il giovane avviato quale militare possa diventare obiettore – anche il giovane avviato quale obiettore potrebbe richiedere, pure in mancanza di previsione espressa, la revoca dello status per adempiere agli obblighi come militare, l’Amministrazione riferente osserva che tale possibilità risulterebbe preclusa proprio dal citato articolo 14, comma 6, in base al quale si prevede, per colui che ha rifiutato servizio civile, solo la possibilità di essere nuovamente assegnato a detto servizio e non anche la possibilità di prestare servizio militare. La riammissione nelle Forze Armate, infatti, è prevista solo per i casi di “rifiuto del servizio militare” di cui al comma 2 del ripetuto articolo 14.

In ordine ai casi di decadenza dallo status previsti dall’articolo 15 della legge in questione, l’Amministrazione osserva che essi hanno una valenza sanzionatoria per cui non potrebbe sostenersi che a fronte di una “incompatibilità tacita” individuata in tali comportamenti, sanzionati anche penalmente, sarebbe configurabile pure una “incompatibilità espressa” da prendere in considerazione a domanda dell’interessato.

In conclusione nella relazione ministeriale si mette in evidenza che la possibilità di rinunciare allo status di obiettore potrebbe consentire all’interessato di rifiutare di nuovo, successivamente, il servizio militare e così di seguito proporre una serie di ulteriori domande tese ad ostacolare le normali attività amministrative in senso defatigatorio, mirando solo ad eludere o indebitamente procrastinare lo svolgimento del servizio senza che l’Amministrazione, in mancanza di specifica regolamentazione, possa decidere se e quanto interrompere tale spirale fissando un termine, durante il servizio, oltre quale non possano essere accettati ulteriori ripensamenti.

Su tali questioni viene chiesto il parere del Consiglio di Stato.

Considerato:

  1. – Il Ministero della difesa dubita che, nel silenzio della legge 8 luglio 1998, n. 230 (recante “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”), il cittadino che presti servizio civile abbia facoltà di rinunciare allo status di obiettore di coscienza, con conseguente obbligo del medesimo di prestazione del servizio militare armato, per l’eventuale completamento degli obblighi di leva.

L’Amministrazione, infatti, dissentendo dall’opinione espressa al riguardo dall’Avvocatura generale dello Stato, con parere n. 105760 del 25 ottobre 2002, reso su richiesta dell’Ufficio nazionale del servizio civile, è dell’avviso che una simile evenienza si porrebbe, anzitutto, in contrasto con l’articolo 52, comma 2, della Costituzione, che prevede una “riserva di legge” per la disciplina dei limiti e delle modalità di espletamento del servizio militare di leva; sarebbe, inoltre, incompatibile con la vigente normativa in materia la quale, per colui che rifiuti il servizio civile, consente soltanto la riassegnazione al detto servizio, e non invece la possibilità di prestare il servizio militare; darebbe adito, infine, ad iniziative di carattere defatigatorio degli interessati, miranti soltanto ad eludere o indebitamente procrastinare lo svolgimento del servizio.

  1. – Ritiene la Sezione che la posizione assunta dal Ministero della difesa non sia condivisibile.

Va preliminarmente ricordato che, come è noto, la citata legge 8 luglio 1998, n. 230, ha espressamente riconosciuto al cittadino un diritto soggettivo all’obiezione di coscienza, il cui esercizio risulta soltanto subordinato al mero riscontro, da parte dell’Amministrazione, della mancanza delle cause ostative tassativamente indicate dall’articolo 2 della legge stessa.

A differenza di quanto avveniva precedentemente, dunque, sotto il regime della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (secondo la quale la decisione sulla domanda di obiezione, di carattere discrezionale, si configurava come concessione di un “beneficio” ed aveva, quindi, carattere costitutivo), in base alle norme della vigente legge n. 230 del 1998 l’intervento dell’Amministrazione ai fini dell’accesso del singolo cittadino al servizio civile, alternativo al servizio militare, si estrinseca attraverso l’adozione di un atto meramente vincolato, che viene posto in essere – come già accennato – sulla base della apposita domanda dell’interessato e sul semplice riscontro dell’assenza delle cause impeditive individuate dalla legge.

Può sottolinearsi, quindi, che l’intervento dell’Amministrazione nel procedimento in questione ha, unicamente, finalità accertative-dichiarative della inesistenza, sul piano oggettivo, delle menzionate cause ostative all’esercizio del diritto di obiezione di coscienza, applicandosi in proposito, oltretutto, il meccanismo del “silenzio assenso”, in base all’articolo 5, comma 2, della legge.

  1. – Quanto al momento dell’esercizio del diritto di obiezione di coscienza, la vigente legge n. 230 del 1998 all’articolo 4 detta precise disposizioni al riguardo, stabilendo che i cittadini che intendono prestare servizio civile devono presentare domanda entro quindici giorni dalla data di arruolamento. Il successivo articolo 14, comma 6, tuttavia, lascia la possibilità, a coloro che non abbiano chiesto detta ammissione e siano sottoposti a procedimento penale per rifiuto di prestare servizio militare, di essere ancora ammessi al servizio civile, in assenza – naturalmente – delle previste cause ostative.
  2. – Va ora esaminata la questione specifica, oggetto del quesito in esame, riguardante la possibilità di perdita della qualità di obiettore di coscienza, nel corso della prestazione del servizio civile.

Può considerarsi, in primo luogo, l’ipotesi espressamente contemplata dall’articolo 15, comma 1, della ripetuta legge n. 230 del 1998, relativa alla “decadenza” dal diritto di prestare il servizio civile o di portarlo a compimento, “quando sopravvengano o siano accertate le condizioni ostative indicate all’articolo 2”.

In tal caso la norma prescrive l’obbligo della prestazione del servizio militare per la parte eventualmente residua.

In altri termini, la legge ammette che l’interessato, con comportamenti concludenti (quale, ad esempio, quello della domanda per un qualsiasi impiego che comporti l’uso delle armi: v. articolo 2, comma 1, lettera “b”) possa sempre far venir meno le condizioni per la prestazione del servizio civile, senza che ciò comporti, necessariamente, conseguenze di tipo sanzionatorio nei suoi confronti.

  1. – Oltre all’ipotesi surriferita, che qualifica di “incompatibilità tacita”, l’Avvocatura generale dello Stato è dell’opinione che possa, altresì, configurarsi la possibilità di una “incompatibilità espressa”, allorché l’interessato manifesti la volontà di cessare lo status di obiettore anche successivamente all’inizio del servizio civile.

Il Collegio ritiene che l’assunto dell’Avvocatura generale sia fondato.

Se, infatti, la prosecuzione del servizio civile – in base al sistema che si è delineato – è rimessa a scelte comportamentali di carattere sostanzialmente potestativo dell’interessato, non sarebbe coerente escludere che nel corso della prestazione del servizio civile il medesimo interessato possa esprimere formalmente una opzione opposta a quella precedentemente esercitata, in ordine al diritto di obiezione, ponendo in essere una nuova manifestazione di volontà che – non risultando sanzionata – si qualifica come pienamente legittima.

Trattandosi, dunque, di un diritto il cui esercizio è rimesso alla libera disponibilità del titolare, deve conseguentemente ritenersi che, in base ai principi generali in materia e nel rispetto delle forme prescritte, la rinuncia di tale diritto sia ugualmente consentita al medesimo titolare non solo in momento antecedente alla relativa opzione (come ammesso pure dal Ministero della difesa con le istruzioni impartite mediante la nota del 13 marzo 2001, richiamata nel parere dell’Avvocatura generale) ma anche dopo l’avvenuta ammissione al servizio civile, atteso che detta ammissione non appare idonea, comunque, non solo a costituire, ma neppure a modificare o ad estinguere la titolarità del diritto in questione.

  1. – Non appaiono calzanti, poi, le obiezioni prospettate al riguardo nella relazione ministeriale.

Anzitutto, contrariamente a quanto assume il Ministero, non solo la disciplina vigente non contravviene al principio della “riserva di legge”, trattandosi, appunto, di disciplina contenuta in uno specifico testo legislativo, del tutto inequivoco sul punto relativo all’esistenza del diritto all’obiezione, ma tale testo non reca, in effetti, alcuna disposizione che sancisca il precetto della impossibilità di rinuncia al servizio civile, non potendosi invocare, al detto fine, l’articolo 14, comma 6, della legge n. 230 del 1998.

Quest’ultima norma, invero, non detta alcuna disposizione con riguardo alla fattispecie che ne occupa, relativa ad un possibile ripensamento dell’interessato, durante la prestazione del servizio civile, in ordine alla scelta dell’obiezione di coscienza, limitandosi soltanto a dettare le misure applicabili nelle ipotesi, chiaramente eterogenee rispetto alla precedente, del rifiuto della prestazione del diritto civile (punito con la reclusione da sei mesi a due anni ai sensi del comma 1 del citato articolo 14), ovvero del rifiuto della prestazione del servizio militare, da parte del soggetto che non abbia ottenuto l’ammissione al servizio civile (punito con la stessa pena, ai sensi del successivo comma 2 del predetto articolo 14)

E tale “ripensamento”, va ulteriormente sottolineato, se non sia accompagnato da comportamenti configurati come illeciti e come tali penalmente sanzionati dalle norme di cui sopra, non può che risultare, di per sé, pienamente legittimo, salvi restando, naturalmente, tutti gli adempimenti che si rendano necessari in conseguenza dell’inserimento della nuova opzione in un apposito procedimento amministrativo che, seppure non finalizzato all’adozione di provvedimenti di natura costitutiva, richiedono in ogni caso l’attivazione dell’Autorità amministrativa per la regolare formalizzazione della posizione del soggetto istante.

  1. – A tal proposito il riferente Ministero manifesta preoccupazioni in ordine ai possibili abusi che, attraverso la rinuncia all’obiezione di coscienza durante la prestazione del servizio civile, potrebbero facilmente verificarsi in assenza di una specifica regolamentazione della fattispecie.

Sull’argomento deve convenirsi che sussistono evidenti ragioni di pubblico interesse inerenti all’ordinato e proficuo svolgimento delle attività in questione, finalizzate all’adempimento di un dovere, quale quello della difesa della Patria, definito “sacro” dall’articolo 52 della Carta Costituzionale. Sarebbe auspicabile, pertanto, l’adozione di apposite norme attuative che, tenendo conto della possibilità di rinuncia tardiva alla obiezione di coscienza, ne stabiliscano le modalità ed i termini strettamente indispensabili per assicurare il proficuo svolgimento, in alternativa, del servizio militare per un periodo di tempo almeno sufficiente a permettere una idonea preparazione tecnica per l’espletamento delle attività proprie del servizio armato.

In tale sede potrebbe anche affrontarsi il problema, posto dall’Amministrazione, relativa alla possibilità di ulteriori “ripensamenti” da parte di coloro che abbiano già inteso rinunciare alla obiezione di coscienza e ritengano, poi, di riproporre una opzione in tal senso. In particolare dovrebbe essere valutata l’effettiva insussistenza, in questa situazione, dopo la avvenuta prestazione di un servizio armato, delle cause ostative connesse all’uso delle armi, previste dall’articolo 2 della legge n. 230 del 1998.

  1. – In ogni caso, anche al momento attuale resta fermo che – ai fini del passaggio dal servizio civile al servizio militare, a seguito della rinuncia al diritto all’obiezione di coscienza – si rende senz’altro necessaria l’adozione di un apposito atto formale dell’Amministrazione competente e, quindi, in attesa di tale atto, il soggetto che abbia presentato l’atto di rinuncia deve inevitabilmente proseguire nello svolgimento dell’attività prestata ai fini del servizio civile, per non incorrere nelle responsabilità di ordine disciplinare e penale previste dalla normativa in vigore.

Quanto al termine entro il quale l’Amministrazione deve concludere il procedimento, in assenza di apposite norme non possono che applicarsi le disposizioni dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Infine, pur in assenza di limiti determinati normativamente, deve ribadirsi che sussistono limiti per così dire “naturali” per l’esame dell’atto di rinuncia all’obiezione nel caso in cui, per l’approssimarsi del termine del servizio civile, il tempo residuo non consentirebbe, in caso di passaggio al servizio militare, neppure lo svolgimento del periodo minimo di addestramento riservato alle reclute.

P.Q.M.

Esprime il parere nei sensi di cui in motivazione.

 

L’estensore

(Pier Luigi Lodi)

Il Presidente

(Roberto Cortese)

Il segretario

(Roberto Mustafà)

…………………….

Allegato (pdf): CDS-Parere 25-03-03