Appello degli obiettori

Avvenire, sabato 27 ottobre 1984

 

Sette anni fa l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa aveva chiesto che l’obiezione di coscienza fosse registrata come principio nella convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con la raccomandazione 816 poi, il medesimo organismo aveva sollecitato i governi nazionali a varare leggi, che riconoscessero ai giovani la possibilità di rifiutare le armi e di prestare un servizio civile alternativo.

I lavori promossi dalI’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza, dal Movimento internazionale dei giovani studenti cattolici, dal Movimento cristiano per la pace e da altre quattro organizzazioni, hanno verificato il cammino percorso dal 1977 ad oggi. Spagna e Grecia (sia pure con notevoli limitazioni) hanno accolto nel loro ordinamento giuridico il diritto di disertare le caserme e di optare per servizi utili alla società, soprattutto ai più deboli. La Francia ha rivisto nel luglio 1983 le leggi che riconoscevano dal 21 dicembre 1963 l’obiezione di coscienza.

Persistono tuttavia numerose preoccupazioni. In molte nazioni l’accoglimento delle domande presentate dagli obiettori avviene dopo l’esame di un vero e proprio tribunale delle coscienze. Così per esempio in Italia, che ha legiferato in materia dodici anni or sono, ed in Spagna. Non solo. Gli obiettori sono costretti a rimanere in servizio per un tempo più lungo ristretto alla ferma prevista per i soldati. L’Austria trattiene gli obiettori due mesi in più, la Francia raddoppia il periodo (da dodici a ventiquattro mesi), l’Italia avalla un aggravio di otto mesi (da dodici a venti), la Grecia obbliga gli obiettori a 48 mesi di servizio contro i 26 previsti per i militari. Per queste ragioni i partecipanti al convegno di Strasburgo hanno presentato nelle mani di Peter Leuprecht, direttore della Commissione per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, un memorandum con il quale si invoca la fine di ogni discriminazione e la firma da parte di ventun Paesi del Consiglio d’Europa di un protocollo addizionale alla carta dei diritti dell’uomo, che riconosca questa scelta.

”La vera obiezione si fonda sul rispetto e sulla promozione della vita – ha affermato il prof. Asbjorn Eide, del Centro ricerche sulla pace di OsIo – oggi non è più pensabile il ricorso alla forza per regolare controversie internazionali. La Carta delle Nazioni Unite, approvata dall’ Assemblea generale dell’Onu l’11 dicembre 1946 accoglie soltanto il principio della legittima difesa, per il resto proibisce il ricorso all’aggressione armata, bandisce l’ingerenza negli affari interni dei singoli Stati, promuove la cooperazione internazionale”. Si pensi alla condanna del genocidio (dicembre 1948), al protocollo di Ginevra circa l’impiego di gas firmato nel 1925, alla convenzione che vieta l’uso delle armi chimiche (1972).

In questa nuova coscienza mondiale, per altro ancora molto fragile, si radica la scelta di numerosi giovani che rifiutano armi e divisa e chiedono di servire quanti la società spinge ai margini della vita quotidiana. Il no alla “naia” si salda con un no più vasto, con un rifiuto della corsa agli armamenti, con un rigetto del militarismo.

Fra gli oratori da ricordare Claudio Zanghi, ordinario di diritto internazionale alla scuola superiore della pubblica amministrazione di Roma e relatore ufficiale della Commissione per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Ha assistito ai lavori del simposio monsignor Luigi Bressan, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa.

 

Alberto Chiara

 

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