Ancora controlli a tappeto

Avvenire, sabato 15 novembre 1986

 

II «blitz» continua. Quelle che ieri potevano ancora sembrare normali ispezioni di controllo presso i centri della Caritas che ospitano gli obiettori di coscienza, si stanno rivelando sempre più un’azione sistematica, a tappeto. Dopo Roma, Milano, Verona, Novara si sono aggiunte anche Piacenza, Modena e Fidenza dove controlli nelle sedi e centri Caritas si sono susseguiti per due giorni. E col passare del tempo si delineano anche le modalità e finalità di questo intervento che non ha precedenti e che sembra proseguirà nei prossimi giorni.

«Si sono presentati di prima mattina tre funzionari della Levadife – spiega Oliviero Bettinelli, responsabile degli obiettori romani – hanno chiesto le cartelle personali degli obiettori, hanno voluto sapere gli orari, gli impieghi, le disponibilità. Uno dei tre è rimasto fino a dopo mezzogiorno spulciando tutti i punti della circolare di giugno (quella contestata dalla Caritas n.d,r.) per vedere quale applicazione ne facevano».

E contemporaneamente all’ispezione presso i palazzi lateranensi, dove ha sede la Caritas diocesana, funzionari di alto grado della Difesa si sono presentati nei diversi centri della Capitale. «Sono stati molto cordiali, gentili, forse troppo – dice Osvaldo Adani, medico responsabile dell’ambulatorio per stranieri – si sono qualificati e hanno spiegato che volevano vedere se gli obiettori facevano il lavoro a cui erano stati predisposti».

E dopo aver controllato documenti e incartamenti hanno interrogato gli obiettori presenti. «Mi hanno chiesto come mi trovavo nel centro – racconta uno degli obiettori che operano nell’ambulatorio – se facevo un lavoro attinente alle mie mansioni e se c’era molto lavoro. Allora gli ho risposto che bastava vedere la fila di uomini di colore che aspettavano fuori dalla porta per essere visitati. Ho poi cercato di spiegare loro il resto della nostra attività nel campo della sensibilizzazione e dell’approfondimento delle tematiche sull’obiezione di coscienza, ma si vedeva che non erano interessati».

«Questo è normale – sottolinea don Giuseppe Venturini, responsabile degli obiettori Caritas di Piacenza – anche io ho cercato di far loro capire che i nostri giovani oltre al lavoro giornaliero svolgono anche una forte attività di formazione permanente, studiando e approfondendo le tematiche della non violenza e dell’obiezione. Ma mi hanno risposto che questi sono fatti nostri e che a loro importa solo se diamo regolarmente la paga e se gli obiettori rispettano gli orari».

Questa degli orari, delle presenze, delle firme è stata un po’ la questione centrale delle ispezioni. In ogni città i vari funzionari hanno infatti sempre chiesto dove si trovassero gli obiettori e si sono stupiti di non trovarli nelle sedi. «Ma come si fa a presentarsi al Vicariato di Roma – sbotta Guglielmo Rosati responsabile nazionale degli obiettori Caritas – e pretendere che gli obiettori fossero tutti lì. Ma a fare cosa? Chi fa queste ispezioni non si documenta neanche bene, perché altrimenti saprebbe che in queste sedi c’è come il comando del distretto militare. Gli obiettori stanno invece nei reggimenti, anzi nei reggimenti in esercitazione, se proprio vogliamo usare i termini militari».

«Noi abbiamo cercato di fare un discorso territoriale – dice ancora Bettinelli – spiegando che un orario può essere molto limitativo per un obiettore. Come facciamo a quantificare un’intera notte passata ad assistere i barboni della stazione Termini? L’impressione è che i militari abbiano difficoltà a rapportarsi alla nostra realtà. Ragionano in termini militari mentre il servizio civile, vissuto correttamente sul territorio, non può essere legato a permessi o firme».

Un po’ dappertutto gli «ispettori» hanno chiesto che venga predisposto un foglio per le presenze ma le difficoltà e le obiezioni non mancano. «Ogni obiettore fa già un suo rapporto settimanale – dice don Aldo Mercoli, responsabile per gli obiettori di Novara – in cui scrive tutto il lavoro che svolge ogni giorno. Sarebbe impossibile tenere un registro con giovani che vanno a lavorare anche a 40 chilometri dalla città». «E poi se sono obiettori di coscienza – aggiunge don Finardi – sono sicuro che hanno una coscienza. Non me la sento di essere così fiscale da fare l’inquisitore, E se vogliono sapere quanto lavorano io gli rispondo ‘anche 24 ore’».

Quindi niente registro come replica duramente Rosati: «Noi il registro non lo metteremo affatto. C’è un’autoregolamentazione tra gli obiettori, c’è uno stile personale. Sono giovani che danno delle lezioni a noi adulti. Non oso neanche andare a chiedere loro una tale cosa». «E poi quello che non riusciamo a capire – sottolinea don Venturini – è come mai vengano a ispezionare così meticolosamente la Caritas che sanno che fa tutto sul serio. Vadano a guardare gli enti pubblici che fanno fare all’obiettore l’impiegato o gli fanno sostituire le segretarie in gravidanza. Sono tutte cose che la legge proibisce. Lo sanno ma non lo dicono mai».

Alla Caritas non si accontentano quindi di difendersi e attaccano duramente le iniziative ministeriali. «Parliamo seriamente delle attese di più di un anno che gli obiettori devono fare prima di prendere servizio – dice don Finardi – o dei giovani precettati d’ufficio. Uno dei miei obiettori si era preparato per tredici mesi per assistere gli emarginati e invece lo hanno mandato in un paesino vicino Feltre a lavorare per il comune. Un altro dopo anni di lavoro con gli ex carcerati di Verona è stato mandato a Vicenza. Allora ha rifiutato ed è tornato a fare il suo lavoro per cui si era preparato. Noi lo abbiamo accettato ed ora è in attesa di processo».

Ma non si tratta solo di precettazione o di ritardi. «Tutti i problemi sono legati alla circolare di giugno che impone agli enti dei nuovi obblighi – dice Rosati – che, nonostante quanto abbia detto Spadolini in Parlamento, sono già in vigore. E’ il caso della pretesa che gli enti anticipino le paghe e le indennità. Cosi succede che la Caritas romana si trova ad essere scoperta di 50 milioni. Li dobbiamo allora sottrarre dalle casse per i poveri per anticiparli allo Stato. Stiamo proprio dando i numeri! Dobbiamo quindi dire, ancora una volta, con molta pacatezza, ma con fermezza, che respingiamo la circolare e la logica che è in essa espressa».

 

Antonio Maria Mira

 

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